Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/71

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croff ed Harbert, cui la lunga escursione aveva cresciuto l’appetito, divorarono.

Poi ciascuno si ritrasse nel cantuccio in cui aveva già riposato la notte precedente, ed Harbert non tardò ad addormentarsi accanto al marinajo che s’era sdrajato lungo il focolare. Al di fuori, colla notte che si avanzava, la tempesta prendeva formidabili proporzioni. Era un colpo di vento paragonabile a quello che aveva trasportati i prigionieri da Richmond sino alla terra del Pacifico. Tempeste frequenti durante l’equinozio, fecondo di catastrofi, terribili sopratutto su quel largo campo che non oppone ostacolo al loro furore! E si comprende che una spiaggia così esposta all’est, vale a dire direttamente ai colpi dell’uragano, e colpita in pieno, fosse battuta con una forza di cui non è descrizione che valga a dare un’idea.

Per buona sorte il cumulo di roccie che formava i Camini era solido. Erano enormi massi di granito, alcuni dei quali, peraltro, non abbastanza equilibrati, parevano tremare sulla loro base. Pencroff sentiva codesto, e sotto la sua mano appoggiata alle pareti correvano rapidi fremiti; ma dopo tutto egli pensava, con ragione, non esservi nulla a temere, e si teneva sicuro che il suo ricovero improvvisato non avesse a franare. Però intendeva il rumore dei sassi che si staccavano dal sommo dell’altipiano, strappati dai gorghi del vento, e cadevano sulla spiaggia; taluni rotolavano anche alla parte superiore dei Camini ed andavano in ischegge quando venivano avventati perpendicolarmente. Due volte il marinajo si risollevò e venne strisciando all’orifizio del corridojo per guardare al di fuori, ma quelle frane poco considerabili non formavano un vero pericolo, onde egli riprese il suo posto dinanzi al focolare, la cui bragia crepitava sotto la cenere.

Malgrado il furore dell’uragano, il tuonare della tormenta, Harbert dormiva profondamente.