Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/72

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Il sonno finì pure coll’impadronirsi di Pencroff, cui la vita di marinajo aveva avvezzo a tutte quelle violenze. Solo Spilett era tenuto desto dall’inquietudine. Egli si rimproverava di non aver accompagnato Nab. Si è visto come ogni speranza non lo avesse abbandonato e come i presentimenti che avevano agitato Harbert agitassero esso pure. Il suo pensiero si concentrava con Nab.

Perchè Nab non era ritornato? Si volgeva sul suo letto di sabbia quasi non badando alla lotta degli elementi; talvolta gli occhi suoi, fatti grevi dalla stanchezza, si chiudevano un istante, ma un nuovo pensiero li riapriva quasi subito.

Frattanto s’avanzava la notte, e potevano essere le due del mattino, quando Pencroff, profondamente addormentato, fu scosso vigorosamente.

— Che c’è? esclamò egli svegliandosi e ripigliando le proprie idee con quella prontezza che contraddistingue gli uomini di mare.

Il reporter era curvo sopra di lui e gli diceva:

— Ascoltate, Pencroff, ascoltate!

Il marinajo porse l’orecchio e non udì alcun rumore, fuorchè quello delle raffiche.

— È il vento, diss’egli.

— No, rispose Gedeone Spilett, mi è parso di intendere....

— Che cosa?

— I latrati d’un cane.

— Un cane! esclamò Pencroff balzando in piedi.

— Sì, dei latrati....

— Non è possibile, rispose il marinajo, e d’altra parte come mai col muggito della tempesta....

— Ecco.... ascoltate.... disse il reporter.

Pencroff ascoltò più attentamente e credette infatti in un momento di quiete d’udire latrati lontani.

— Ebbene? disse il reporter stringendo la mano del marinajo.