Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/84

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— No di certo, rispose Nab.

— È evidente che il signor Smith ci è venuto da solo, disse Pencroff.

— È evidente in fatti, fece osservare Gedeone Spilett, ma non è credibile.

Non era possibile aver la spiegazione di quel fatto, tranne dallo stesso ingegnere; epperò bisognava aspettare ch’egli riacquistasse la parola. Per buona sorte già la vita ripigliava il suo corso. Le frizioni avevano ristabilito la circolazione del sangue. Cyrus Smith scosse di nuovo il braccio, poi la testa, e qualche parola incomprensibile gli sfuggì un’altra volta dalle labbra. Nab, curvato sopra di lui, lo chiamava, ma l’ingegnere non parea intendere e teneva sempre chiusi gli occhi: la vita non si rivelava in lui se non dal movimento; i sensi non vi avevano ancora alcuna parte. Pencroff si dolse molto di non aver fuoco, nè modo di procurarsene, poichè egli aveva dimenticato di portar seco la tela bruciata, che avrebbe potuto facilmente infiammare coll’urto di due ciottoli. Quanto alle tasche dell’ingegnere erano assolutamente vuote, salvo il taschino del panciotto, che conteneva l’orologio. Bisognava dunque trasportare Cyrus Smith ai Camini, ed il più presto possibile. Frattanto le cure che furono prodigate all’ingegnere dovevano farlo risensare più presto che non potesse sperare. L’acqua con cui gli si umettavano le labbra lo rianimava a poco a poco. Pencroff ebbe l’idea di mescere a quell’acqua un po’ di sugo di carne di tetras, che avea portato seco, ed Harbert, essendo corso alla spiaggia, ne tornò con due gran conchiglie di bivalvi. Il marinajo fece una specie di mistura e la introdusse nelle labbra dell’ingegnere, il quale parve gustare avidamente quel miscuglio. I suoi occhi si aprirono allora. Nab ed il reporter si erano curvati sopra di lui.

— Padrone, padrone mio! esclamò Nab.

L’ingegnere l’intese, e riconobbe Nab e Spilett,