Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/85

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poi i suoi due altri compagni, Harbert ed il marinajo, e la sua mano strinse leggermente le loro.

Poche parole gli sfuggirono ancora dalle labbra, parole che aveva già pronunciate, senza dubbio, e che indicavano quali pensieri tormentassero anche allora il suo spirito. Questa volta fu compreso.

— Isola o continente? mormorò egli.

— Ah! esclamò Pencroff, non potendosi trattenere, per tutti i diavoli! che ne importa a noi purchè viviate, signor Cyrus? Isola o continente? Si vedrà più tardi.

L’ingegnere fece un lieve cenno affermativo e parve addormentarsi.

Si rispetto quel sonno, ed il reporter prese immediatamente le sue disposizioni perchè l’ingegnere fosse trasportato nelle migliori condizioni. Nab, Harbert e Pencroff lasciarono la grotta e si diressero verso un’alta duna coronata da diversi alberi rachitici, e cammin facendo il marinajo non poteva cessare dal ripetere:

— Isola o continente! Pensare a questo quando non si ha nemmeno il respiro! Che uomo!

Giunti in cima della duna, Pencroff ed i suoi due compagni, senz’altri utensili fuorchè le proprie braccia, spogliarono dei principali rami un albero meschinello, specie di pino marittimo travagliato dal vento; poi con quei rami fecero una barella, che, coperta di foglie e di erbe, doveva servire a trasportare l’ingegnere.

Fu la cosa di quaranta minuti circa, ed erano le dieci quando il marinajo, Nab ed Harbert tornarono presso Cyrus Smith, da cui Gedeone Spilett non si era scostato.

L’ingegnere si risvegliava allora da quel sonno, o meglio da quel sopore in cui lo si aveva trovato. Tornava il colorito alle sue guancie finora pallidissime. Egli si sollevò un poco, guardò intorno a sè e parve chiedere dove si trovasse.