Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/95

Da Wikisource.

ceva scintillare le rugosità prismatiche dell’enorme muraglia.

Dopo di aver volto una rapida occhiata intorno a sè, l’ingegnere sedette sopra un macigno. Harbert gli offrì alcune manate di conchiglie e di sargassi, dicendo:

— È tutto quanto abbiamo, signor Cyrus.

— Grazie, figlio mio, rispose Cyrus Smith, ciò basterà almeno per questa mane.

E mangiò con appetito quel magro cibo, che inaffiò con un po’ d’acqua fresca attinta al fiume in un’ampia conchiglia.

I compagni lo guardavano senza parlare, poi, dopo essersi ristorato alla meglio, Cyrus Smith incrociando le braccia, disse:

— Dunque, amici miei, voi non sapete ancora se la sorte ci ha gettati sopra un continente o sopra un’isola?

— No, signor Cyrus, rispose il giovinetto.

— Lo sapremo domani, soggiunse l’ingegnere; per ora non c’è nulla a fare.

— Sì, che qualche cosa c’è da fare, replicò Pencroff.

— E che cosa dunque?

— Del fuoco, disse il marinajo, il quale anch’esso aveva la sua idea fissa.

— Ne faremo, Pencroff, rispose Cyrus Smith; in tanto che voi mi trasportavate jeri, non ho io visto nell’ovest una montagna che domina questa regione?

— Sì, rispose Gedeone Spilett, una montagna che deve essere molto elevata....

— Bene, riprese a dire l’ingegnere, domani saliremo sulla sua vetta e vedremo se questa terra è un’isola od un continente; per ora, lo ripeto, non c’è nulla a fare.

— C’è da fare del fuoco, disse ancora l’ostinato marinajo.

— Se ne farà del fuoco! replicò Gedeone Spilett; un po’ di pazienza, Pencroff.