Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/96

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Il marinajo guardò Gedeone Spilett con una certa aria che sembrava dire: “Se ci siete voi solo per farne, non assaggeremo l’arrosto così presto!” Ma si tacque.

Cyrus Smith non aveva risposto, egli sembrava poco impensierito della quistione del fuoco. Per alcuni istanti stette assorto nelle proprie riflessioni; poi, ripigliando la parola, disse:

— Amici miei, la nostra posizione è forse deplorabile, ma ad ogni modo è semplicissima. O siamo sopra un continente, ed allora a prezzo di fatiche più o meno grandi giungeremo a qualche punto abitato, oppure sopra un’isola, ed in quest’ultimo caso delle due l’una: se l’isola è abitata vedremo di cavarci d’impiccio coi suoi abitanti, se è deserta vedremo di far da soli.

— Certo che non v’ha nulla di più semplice, rispose Pencroff.

— Ma sia continente od isola, domandò Gedeone Spilett, dove credete voi, Cyrus, che l’uragano ci abbia gettati?

— Io non posso saperlo con precisione, rispose l’ingegnere, ma le presunzioni stanno per una terra del Pacifico. Infatti, quando noi abbiamo lasciato Richmond, il vento soffiava da nord-est e la sua violenza medesima prova che non ha mutato direzione. Ora, se ha sempre soffiato da nord-est a sud-ovest, abbiamo attraversato gli Stati della Carolina del Nord, della Carolina del Sud, della Georgia, il golfo del Messico, il Messico medesimo nella sua parte stretta, poi una porzione dell’oceano Pacifico. Non stimo meno di sei o settemila miglia la distanza percorsa dal pallone, e per poco che il vento abbia variato d’un mezzo quarto, ha dovuto portarci sull’arcipelago di Mendana, sia sulle isole Pomotu, ossia anche, se aveva una velocità maggiore di quella che io immagino, fino alle terre della Nuova Zelanda. Se quest’ultima