Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/97

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ipotesi si è avverata, ci sarà facile tornare in patria; Inglesi o Maori, noi troveremo sempre con chi parlare. Se al contrario questa costa appartiene a qualche isola deserta d’un arcipelago Micronesiano, forse potremo riconoscerle dall’alto di quel cono che domina la regione, ed allora vedremo di stabilirci qui come se non dovessimo mai uscirne.

— Mai! esclamò il reporter; voi dite mai, mio caro Cyrus?

— È meglio pensare al peggio, rispose l’ingegnere, e riserbarci la sorpresa gradita.

— Ben detto, replicò Pencroff, e bisogna sperare anche che quest’isola, se pure è un’isola, non sia precisamente situata fuor della via delle navi! La sarebbe davvero una sciagura.

— Non sapremo che pensare se non quando saremo saliti sulla montagna, rispose l’ingegnere.

— Ma domani, signor Cyrus, domandò Harbert, potrete voi sopportare le fatiche di questa ascensione?

— Lo spero, rispose l’ingegnere, a patto che mastro Pencroff e tu, fanciullo mio, vi mostriate cacciatori intelligenti e destri.

— Signor Cyrus, rispose il marinajo, poichè voi parlate di selvaggina, se al mio ritorno fossi certo di poterla fare arrostire, come sono certo di portarla meco....

— Cominciate a portarla, Pencroff, rispose Cyrus Smith.

Fu dunque convenuto che l’ingegnere ed il reporter dovean passare la giornata ai Camini per esaminare il litorale e l’altipiano superiore, intanto che Nab, Harbert ed il marinajo tornerebbero alla foresta per rinnovarvi le provviste di legna e per far man bassa sopra qualsiasi selvaggina che venisse a tiro.

Partirono adunque verso le dieci del mattino, Harbert confidente, Nab allegro, Pencroff mormorando fra sè e sè: