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capitolo i. 121


Udivo appena. Tutto ronzava intorno a me. Si aprì un vano nelle nuvole.

«Vedete quella città? disse l’incognito, è Spira.

Mi curvai fuor della navicella e vidi un piccolo sgorbio nerastro; era Spira. Il Reno, così largo, rassomigliava ad un nastro spiegato. Sopra il nostro capo il cielo era d’un azzurro carico. Gli uccelli ci avevano abbandonato da un pezzo, perchè in quell’aria rarefatta era loro impossibile volare. Eravamo soli nell’aria, io e l’incognito; in faccia l’un dell’altro.

«È inutile che sappiate ove vi conduco, disse egli allora, ed intanto gettò la bussola nelle nuvole. Ah, la gran bella cosa una caduta! Voi sapete che si contano poche vittime dell’aerostatica, da Pilatre des Rosiers fino al luogotenente Gale, e che gli è sempre all’imprudenza che conviene attribuire le disgrazie. Pilatre des Rosiers partì con Romain, da Boulogne, il 13 giugno 1785. Al suo pallone a gas egli aveva sospeso una mongolfiera ad aria calda affine di liberarsi senza dubbio dalla necessità di perdere del gas o di gettare della zavorra. Gli era come mettere un fornello sotto un barile di polvere. Gli imprudenti giunsero a quattrocento metri e furono presi dai venti contrari che li respinsero in alto mare. Per discendere, Pilatre volle aprire la valvola dell’aerostato, ma la corda della valvola si trovò impigliata nel pallone e lo lacerò, tanto che si vuotò in un istante. Cadde sulla mongolfiera, la fece girare sopra sè stessa e trasse i disgraziati, che si sfracellarono in pochi secondi. È terribile non è vero?

Io non potei rispondere altro che queste parole:

«Per pietà, discendiamo.

Le nuvole ci stringevano da tutte le parti, e scoppi formidabili ripercotentisi nel cavo dell’aerostato si incrociavano intorno a noi.

«Mi impazientate, esclamò l’incognito, non saprete più se saliamo o discendiamo.

Ed il barometro andò a raggiungere la bussola assieme con qualche sacco di sabbia.

Dovevamo essere a cinquemila metri d’altezza. Già alcuni