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260 libro secondo - sezione quarta - capo secondo


esser i «mostri» che la legge delle XII Tavole comandava gittarsi in Tevere. Perché non è punto verisimile ch’i decemviri, in quella parsimonia di leggi propia delle prime repubbliche, avessero pensato a’ mostri naturali, che sono sí radi che le cose rade in natura si dicon «mostri»: quando, in questa copia di leggi della qual or travagliamo, i legislatori lasciano all’arbitrio de’ giudicanti le cause ch’avvengono rade volte. Talché questi dovetter esser i mostri detti, prima e propiamente, «civili» (d’un de’ quali intese Panfilo ove, venuto in falso sospetto che la donzella Filumena fusse gravida, dice:

... Aliquid monstri alunt);

e cosí restaron detti nelle leggi romane, le quali dovettero parlare con tutta propietá, come osserva Antonio Fabro nella Giurisprudenza papiniaynea. Lo che sopra si è altra volta ad altro fine osservato.

567Laonde questo dee essere quello che, con quanto di buona fede, con altrettanta ignorazione delle romane antichitá ch’egli scrive, dice Livio: che, [se] comunicati fussero da’ nobili i connubi a’ plebei, ne nascerebbe la prole «secum ipsa discors», ch’è tanto dire quanto «mostro mescolato di due nature»: una, eroica, de’ nobili; altra, ferina, d’essi plebei, che «agitabant connubio more ferarum». Il qual motto prese Livio da alcuno antico scrittor d’annali, e l’usò senza scienza, perocché egli il rapporta in senso: «se i nobili imparentassero co’ plebei». Perché i plebei, in quel loro misero stato di quasi schiavi, nol potevano pretendere da’ nobili, ma domandarono la ragione di contrarre nozze solenni (ché tanto suona «connubium»), la qual ragione era solo de’ nobili. Ma, delle fiere, niuna spezie usa con altra di altra spezie. Talché è forza dire ch’egli fu un motto, col quale, in quella eroica contesa, i nobili volevano schernir i plebei, che, non avendo auspíci pubblici, i quali con la loro solennitá facevano le nozze giuste, niuno di loro aveva padre certo (come in ragion romana restonne quella diffinizione, ch’ognun sa, che «nuptiae demonstrant patrem»);