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ragionamento secondo - capitolo primo 301


d’oro: «ideo legum servi sumus, ut liberi esse possimus» — la qual libertá il popolo romano aveva perduto, perché aveva fatto le leggi servir all’armi, con le quali s’andava a perdere nelle guerre civili, — essi romani principi, da Augusto incominciando, si posero in mano la forza dell’armi per far goder a’ romani l’ugualitá delle leggi (ch’è una delle massime propietá della monarchia: che sieno i potenti a’ deboli con le leggi uguagliati e ’l solo monarca vi sia in civil natura distinto); con la qual ugualitá quelli romani, ch’in pochi altri anni si sarebbero tutti spenti con altre guerre civili, si salvarono e vissero tanti secoli appresso in luminosissima nazione. Ch’è l’eterna natural legge regia ch’abbiamo ragionata nel quarto libro, con cui le nazioni dentro essoloro medesime vanno a fondarsi le monarchie.

1457Perché ’l marmo capitolino, ch’arrecano per pruovare tal favola, altro non contiene ch’una formola di giuramento di fedeltá che ’l senato dava agl’imperadori (e quindi a poco vedremo con quanta libertá se ’l facesse). Se non pure, prima il senato portava ne’ rostri le forimole delle leggi che ’l popolo voleva comandare: in questa il popolo portò la formola nella curia, acciocché la comandasse il senato. E quindi si veda che assurdo: che, mentre gli eruditi si sforzano col marmo capitolino legittimare la monarchia, fanno la romana repubblica da libera popolare divenir aristocratica!

1458Ma essi, da un certo senso occulto rimorsi, non soddisfaccendosi del marmo capitolino, si disperano che non truovano una qualche medaglia che gli accertasse del tempo di cotal legge. Poiché altri, niegandolo di quelli d’Augusto, la vogliono comandata a’ tempi di Tiberio, sotto di cui gli piú nobili romani vilissimamente inchinavano l’atroce fasto di un gentilominuzzo di Volsena, Elio Seiano; altri la richiamano a’ tempi di Claudio, sotto il quale i signori delle piú splendide case romane si recavano a somma fortuna di far la corte a tre vilissimi schiavi: Narciso, Pallante e Licino, affranchiti da quello stolido imperadore; altri la vogliono comandata ne’ tempi dopo Nerone, sotto il quale il senato, non che caduto in vilissimi ossequi (per gli quali assai minori, molto innanzi, lo stesso Tiberio, il qual odiava a morte la veritá, con forte disdegno, in uscire dal senato una volta, disse ad alta voce: — «O homines ad servitutem paratos!» — volendo dire che erano gli schiavi giá per natura che dice Aristotile, i quali naturalmente non possono viver liberi), ma precipitato