Pagina:Vico, Giambattista – La scienza nuova seconda, Vol. II, 1928 – BEIC 1964822.djvu/330

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324 nota


saggio consiglio del Conti, e cioè di sviluppare nell’interno dell’opera i luoghi bisognosi di chiarimento (e magari di riscriverla daccapo), preferí di adottare ancora una volta il metodo, antididascalico per eccellenza, tenuto giá nelle Note al Diritto universale, ossia di lasciare immutato il testo a stampa, anche se non piú congruente o in aperta contradizione col suo pensiero attuale, salvo ad aggiungervi una serie di Annotazioni. Le quali, quando prese a stenderle, gli si allargarono in misura cosí inattesa, da giungere a ben 414 (40 relative al primo libro, 172 al secondo, 123 al terzo, 3 al quarto, 66 al quinto, 3 alla Tavola delle tradizioni volgari, 7 a quella delle Discoverte generali), e tutte, in genere, cosí lunghe, da costargli un anno e mezzo di lavoro e occupar da sole, senza le circa trecento di testo, quasi seicento pagine della sua piccola e stretta scrittura.

L’impressione provata a Venezia allorché, nell’ottobre’29, vi giunse quel troppo voluminoso originale, non dovè essere d’entusiasmo. Tanto piú che l’editore, appunto per preparare alla divisata riedizione un mercato piú favorevole, aveva giá speso parecchio per fare incettare a Napoli, dal residente Zuccato e poi dal suo successore Giovan Francesco Vincenti, tutti gli esemplari superstiti della Scienza nuova prima (se n’eran tirati mille), non senza pagarne qualcuno piú di due scudi d’oro. Né a conciliare a Venezia simpatie editoriali al Vico era potuto valere il suo fermo rifiuto all’altra proposta, fattagli fare da colá, per mezzo del libraio napoletano Bernardino Gessari e dello stampatore parimente napoletano Felice Mosca, di comprender nella riedizione anche le opere antecedenti alla Scienza nuova, con la speranza che la Scienza nuova appunto «arebbe dato loro facile smaltimento». E finalmente può anche darsi che il Vico, inorridito dalla spropositatissima edizione, appunto veneziana, dell’Autobiografia, ponesse, per la revisione delle bozze, patti poco accettabili. Checché sia di tutte codeste congetture e delle altre che il lettore potrá formolare per suo conto, certo è che, nel novembre o ai principi del decembre ’29, gli giunse, non si sa bene se dallo stampatore veneziano o dal Lodoli, una lettera assai diversa da quella ch’egli s’aspettava. Non gliela si fosse mai scritta, o si fosse scelto, almeno, un momento men cattivo! Giacché, ancora ribollente d’ira per la noterella antivichiana comparsa negli Acta eruditorum di Lipsia, ed esasperato altresí contro un suo figliuolo, accingentesi, proprio allora, a contrarre contro la volontá paterna un matrimonio moralmente ed economicamente ro-