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| II. le varie redazioni della « scienza nuova » | xxvii |
getto dell’opera capitale del Vico. Pare che esso fosse ripartito in tre libri; che trattasse « de metaphysica, de philologia, de re morali ac civili, de lingua, historia et iurisprudentia romana...., de iure naturali gentium »; e che
nel terzo libro il Vico si proponesse specialmente di dimostrare falso il « labefactare inconditis rationibus et distractis auctorum locis, quamquam numero plurimis, et magis
memoria quam mente ».
Comunque, è col Diritto universale che le idee vichiane
presero per la prima volta assetto e forma tali da sembrare
all’autore degne di essere esposte alla luce. L’opera, come s’è detto, si divide in due libri, diversi di mole e per sistema espositivo. Il primo, oltre un proloquium e una conclusio, si suddivide in dugentoventidue brevi paragrafi, che talvolta hanno forma semplicemente aforistica:
delle due parti onde consta l’altro, la prima contiene soltanto venti capitoletti, laddove la seconda abbraccia trentasette capitoli, talvolta assai lunghi e suddivisi in paragrafi. Circa la consistenza, basterà ricordare col Croce[1], che l’opera va considerata, quale appunto la riteneva il Vico, semplice «abbozzo» della Scienza nuova, in quanto «le idee sulla poesia vi sono ancora perplesse..., i canoni mitologici sono meno unitarii di quel che divennero poi, la teoria dei ricorsi vi è appena debolmente adombrata, e insomma, così la storia ideale eterna come la gnoseologia, sulla quale essa si fonda, sono ancora immature ».
Basta ciò a mostrare come il Vico ben presto dovesse esserne scontento. Cominciò a principio a tempestare di correzioni e giunte marginali quanti esemplari gli occorresse di donare ad amici e a persone di riguardo, non escluso quello inviato al principe Eugenio di Savoia, che
- ↑ La filosofia di V. cit., p. 299.