Pagina:Vita di Dante.djvu/497

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secoli nostri: come si vede da parecchie cronache romanesche, pugliesi, veneziane e piemontesi; nelle traduzioni del Tasso, in molte canzoni popolari; od ultimamente nelle Commedie del Goldoni, e nelle Poesie liriche e satiriche del Meli, del Calvi, del Porta, del Grossi e di altri ancora, che posson talora fare invidia in queste parti alla stessa letteratura italiana, e mostrare sempre vivo l’amore ai dialetti d’ogni provincia d’ Italia. E quanto al timore che siffatta coltura dei dialetti, o il trattarne solamente, possa nuocere a quella lingua ch’è sola comunanza tra noi Italiani; certo, se fosse ragionevole tal timore, noi ci dovremmo religiosamente astenere da tali studii. Ma, ridotto com’ è l’uso dei dialetti alle cose più popolaresche, le quali ad ogni modo non si scriverebbero in lingua studiata, non può nuocere a questa; e l’aggiungere agli onesti piaceri intellettuali e cosi alla coltura d’una popolazione italiana qualunque, non può nuocere mai all’Italia. Anche men giusto timore sarebbe, poi, quello che s’avesse delle disquisizioni storiche sulle origini dei nostri dialetti; e tuttavia, elle non furono tentate quasi da Dante in poi, se non