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Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/217

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24

Antidotari de le vane mode,
ponete in opra la natia destrezza;
salvete, o braccia nerborute e sode,
da cui dipende la comun salvezza:
e tu, querciuolo noderoso e prode,
que’ zerbinotti morbidi accarezza;
e per meglio lisciar gente si prava,
cangiati tosto ne l’erculea clava.

25

Oh, con festosi reboanti carmi
risponder degnamente anch’io potessi
al rovinoso strepito de l’armi
e al fiero grandinar de’ colpi spessi!
Vorrei piu noto e piú mirabil farmi,
in questa etá, degli Anfioni istessi,
che invece d’innalzar torri e castei,
il comun fanatismo abbatterei.

26

Se quel pazzo domanda in sul mattino
per la notturna fame una focaccia,
recipe a disfamarlo il tavolino
e cera e specchio, che buon prò gli faccia:
e se questi ricerca un po’ di vino,
come l’altro non men si soddisfaccia,
e senza perder tempo a lui si reche
un vaso di pastiglie e di manteche.

27

Ché se nulla di meno alcun persiste
ne la follia ridicola di prima,
quel guardiano che fedel gli assiste
nuove sferzate a lui sul dorso imprima;
e impossibil riuscendo il far che acquiste
l’antico senno e la saggezza prima,
disciolto in libertá rompasi il collo
e dia pure se vuol 1’ultinio crollo.