Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/226

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28

Ciascun ne rise e in atto ammirativo
a squadrarlo si fece immantinente,
né tanto il Redi fu speculativo
in guardar l’erbe con la vitrea lente.

Pareva quel tupé figlio adottivo
deiraffricano Caucaso eminente,
quel colosso parea che in Grecia entrambe
a le varcanti navi apria le gambe.

29

— Oh ! che sará di noi fra pochi istanti
— dicea talun confuso e stupefatto, —

se arrivino quaggiú dieci abitanti
con un tupé, con un cimier siffatto?

Questi criniti orribili giganti
per forza ci daran lo scacco matto,
ché con dieci tupé di simil foggia
s’empie ogn’antro, ogni selva ed ogni loggia.

30

— No no — rispose un vecchio venerando, —
il buon Minosso ed i celesti divi

non soffririano che in perpetuo bando
n’andassero gli eroi che abitai! quivi. —

In questa guisa gli animi calmando
feceli ritornar lieti e giulivi,
e si volsero a lui che per diporto
con madonna sen giá nel florid’orto.

31

Di fior bianchi, vermigli, azzurri e gialli
tutto il suolo amenissimo ridea.

Visitarono gli antri e i verdi calli
devoti a l’amator di Pasitea,
visitarono Tacque e l’ampie valli
sparse di glauco timo e panacea,
visitaron le selve, i monti e i prati
d’ogni vaghezza e d’ogni fronda ornati.