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XLII

AL N. U. ANDREA CORNER

pel teatro fatto erigere nel giugno 1779 con esorbitante spesa e magnificenza
nel cortile del suo palazzo in Castelfranco dove recitava la sua figlia.

Quando a terra n’andrá l’eccelsa mole
a Melpomene sacra e sacra al pianto,
che in sei luci poteo rapide tanto
qual magico lavoro ergersi al sole;

acciò che il tempo non disperda o invole
de la tua figlia la memoria e il vanto,
nel loco stesso ove sorgea l’incanto
in marmo scriverò queste parole:

«Alba qui pianse in tragiche fortune,
e al chiaro grido che suonò di lei
si spopolar le venete lacune.

E ben poteasi per udir costei
da lido piú lontan scioglier la fune
e varcar Tonde esperie e i ilutti egei».

XLIII

Recandosi alla villa un illustre magistrato amico deU’autore. Si allude ad alcune
domestiche vicende del poeta, per le quali egli soggiornava allora a Venezia.

Signor, vanne felice, e da la ingrata
cura d’ interpretar le ambigue leggi
respira alfine in sen d’una beata
placida villa fra pastori e greggi.

Ma venga teco quella cetra aurata
per cui nel canto il Venosin pareggi;
fia nobile materia e ai carmi grata
un fior che olezzi, un’erba che verdeggi.

Col sorger tuo le mattutine squille
previeni spesso, e l’alito vivace
bevi de le nascenti aure tranquille.

Io resto in Adria, come ai fati piace,
esule, oimè, da le paterne ville,
a pianger la mia sorte e a chieder pace.