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Egli rimase zitto come se aspettasse che l’Egiziana proseguisse.

La sua fantasia gli dipinse Ester al fianco di suo padre tutta intenta ad ascoltare i dispacci ch’egli mandava, e, qualche volta, leggendoli essa medesima. Alla sua presenza, egli aveva raccontato a Simonide la storia del Palazzo di Idernee. Essa ed Iras si conoscevano; questa era astuta e mondana, quella semplice ed affettuosa, tale da esser facilmente indotta a chiacchierare.

Simonide non poteva aver mancato alla promessa e Ilderim neppure giacchè a nessuno, più che ad essi, le conseguenze di una tale rivelazione potevano tornare fatali. Poteva Ester aver informato l’Egiziana? Egli non l’accusava, ma un dubbio lo invase, riempiendolo di sfiducia e di sospetto.

Prima ch’egli avesse potuto rispondere all’allusione della piccola Ebrea, Balthasar giunse allo stagno.

— «Noi vi siamo debitori di molto, figlio di Hur,» — disse egli con aria grave. — «Questa valle è molto bella e i suoi prati, gli alberi e l’ombra, c’invitano a fermarci e riposare; qui la primavera risplende come un diamante, e mi parla d’un Dio d’amore. Non sono sufficienti le parole per ringraziarti di ciò che ci hai dato da godere; bevi con noi ed assaggia il nostro pane.» —

— «Lasciate prima ch’io vi serva.» —

Così dicendo Ben Hur riempì la coppa e la porse a Balthasar che alzò gli occhi in segno di muta preghiera.

Intanto lo schiavo portò i tovagliuoli, ed i tre, dopo di essersi lavate ed asciugate le mani, si sedettero secondo l’uso orientale, sotto la medesima tenda, che, molti anni prima, aveva servito per l’incontro dei tre Saggi nel deserto.


CAPITOLO III.


La tenda era comodamente spiegata sotto un albero, in vicinanza al ruscello; sopra di essa, le larghe foglie pendevano immobili dai loro rami; più in là sorgevano i delicati steli delle canne ritti come freccie. Di tanto in tanto, attraverso al vapore perlaceo, un’ape ritornando col suo profumato bottino, passava ronzando e