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atto primo | 11 |
si fa natura e istupidisce i sensi.
Ma più fiero ei divien, quando lo scuote
dal suo lungo letargo
un passagger diletto.
Lesbino. È gran pena d’un core
un bramato piacer né mai goduto.
Uranio. Maggior pena diventa
la memoria del ben quando è perduto.
Lesbino. All’inutile gara
diaim fine, Uranio. Meglio
fia il risanar che l’inasprir le piaghe.
Tu per Cidippe ed io per Eco ardiamo.
Uranio. Che dobbiam far?
Lesbino. Narciso,
d’ambe le ninfe e di noi pure amico,
benché di amor nimico,
sappia il nostro desir, ne presti aita.
Chi sa...
Uranio. Tirreno intanto,
genitor di Cidippe,
so che arride al mio amor, loda i miei voti,
e ne ha tentata in mio favor la figlia.
Lesbino. Eh, Uranio, poco è dolce
quell’imeneo, cui piú di amor congiunge
violenza paterna.
Vedi, la vite all’olmo
volontaria si sposa e l’edra al faggio.
Uranio. Lesbin, non ben l’intendi. Oh, quante volte
quella che amor non vinse ha vinto un bacio!
D’ogni beltá piú fiera e piú ritrosa
è un incanto il piacer. Tal l’angue appunto
a una grata armonia l’ira si scorda,
né piú il tosco letal spira dagli occhi.
Addio, pastore, addio!
Lesbino. Secondi ’l ciel il tuo desire e il mio.