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(100-101) | pensieri | 211 |
brillanti di un indefinibile romanzesco, e di quella eccessivamente cara e soave stravaganza e maraviglia, che ci solea rendere estatici nella nostra fanciullezza. Dove che i moderni, determinando ogni oggetto e mostrandone tutti i confini, son privi quasi affatto di questa emozione infinita, e invece non destano se non quella finita e circoscritta, che nasce dalla cognizione dell’oggetto intiero, e non ha nulla di stravagante, ma è proprio dell’età matura che è priva di quegl’inesprimibili diletti della vaga immaginazione provati nella fanciullezza (8 gennaio 1820). (101)
* La cagione per cui gli uomini di gusto e di sentimento provano una sensazione dolorosa nel leggere, per esempio, le continuazioni o le imitazioni, dove si contraffanno le bellezze, gli stili ec. delle opere classiche (vedi quello che dice il Foscolo della continuazione del viaggio di Sterne), è che queste in certo modo avviliscono presso noi stessi l’idea di quelle opere per cui ci eravamo sentiti cosí affettuosi e verso cui proviamo una specie di tenerezza. Il vederle cosí imitate, e spesso con poca diversità, e tuttavia in modo ridicolo, ci fa quasi dubitare della ragionevolezza della nostra ammirazione per quei grandi originali, ce la fa quasi parere un’illusione, ci dipinge come facili, triviali e comuni quelle doti che ci aveano destato tanto entusiasmo: cosa acerbissima di vedersi quasi in procinto di dover rinunziare all’idolo della nostra fantasia, e rapire in certo modo e denudare e avvilire agli occhi nostri l’oggetto del nostro amore e della nostra venerazione ed ammirazione. Perché in ogni sentimento dolce e sublime entra sempre l’illusione, ch’è il piú acerbo dolore il vedersi togliere e svelare. Perciò quelle tali imitazioni ci sarebbero gravi, quando anche gareggiassero cogli originali, togliendoci l’inganno di quell’unico e impareggiabile che forma il caro prestigio dell’amore e della maraviglia.