Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/240

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212 pensieri (101-102)

Nella stessa guisa che ci riesce dolorosissimo il vedere o porre in ridicolo, o travisare, o imitare gli oggetti dei nostri sentimenti del cuore (vedi Staël Corinne lib. penult., ch. [6°.], p. 317, del vol. III], ediz. quinta di Parigi): cosa che ci fa o dubitare o certificare della loro vanità reale e della nostra illusione, e ci strappa a quei soavi inganni che costituiscono la nostra vita; né c’è cosa che abbia questa forza piú della precisa imitazione o somiglianza di un altro oggetto che non possiamo pregiare né amare (sia per qualche grado di inferiorità reale, di ridicolo, di travisamento, ec., sia anche quando la somiglianza non abbia niente  (102) o poco d’inferiore) con quello che pregiamo ed amiamo, e che occupa il cuore e l’immaginazione nostra, in modo che ne siamo gelosissimi e paurosi e cerchiamo in tutti i modi di custodirlo (8 gennaio 1820).


*   È pure un tristo frutto della società e dell’incivilimento umano anche quell’essere precisamente informato dell’età propria e de’ nostri cari, e quel sapere con precisione che di qui a tanti anni finirà necessariamente la mia o la loro giovinezza, ec. ec., invecchierò necessariamente o invecchieranno, morrò senza fallo o morranno; perché la vita umana non potendosi estendere piú di tanto, e sapendo formalmente la loro età o la mia, io veggo chiaro che dentro un definito tempo essi o io non potremo più viver, goder della giovinezza, ec. ec. Facciamoci un’idea dell’ignoranza della propria età precisa, ch’è naturale e si trova ancora comunemente nelle genti di campagna, e vedremo quanto ella tolga a tutti i mali ordinari e certi che il tempo reca alla nostra vita, mancando la previdenza sicura che determina il male e lo anticipa smisuratamente, rendendoci avvisati del quando dovranno finire indubitatamente questi e quei vantaggi della tale e tale età di cui godo, ec. Tolta la quale, l’idea confusa del nostro inevitabile decadi-