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(1052-1053) | pensieri | 369 |
ma degli uomini e delle nazioni e della vita del nostro tempo; cioè il pericolo di divenir matematici di filosofici e ragionevoli che sono stati da qualche tempo fino ad ora, e di naturali che furono anticamente (14 maggio 1821).
* Dell’ignoranza del latino presso i greci Vedi Luciano, Come vada scritta la storia (14 maggio 1821).
* Alla p. 988. Citavano ancora non rare volte i latini (come Cicerone nel libro De senectute) passi anche lunghi di scrittori greci recati da essi in latino. Non cosí i greci viceversa, se non talvolta (e in tempi assai posteriori anche ai principii della chiesa greca) qualche passo di Padri o scrittori ecclesiastici latini rivolto in greco; ma ben di rado, massime in proporzione delle molte autorità di padri greci ec. che recavano i latini, (1053) voltandoli nel loro linguaggio. E generalmente l’uso de’ padri ec. latini nella Chiesa e scrittori greci fu sempre senza paragone minore di quello delle autorità greche nella Chiesa e scrittori ecclesiastici latini, non ostante la riconosciuta supremazia della Chiesa Romana (15 maggio 1821).
* Considerando per una parte quello che ho detto p. 937 seguenti, intorno alla naturale ristrettezza e povertà delle lingue, e come la natura avesse fortemente provveduto che l’uomo non facesse fuorché picciolissimi progressi nel linguaggio, e che il linguaggio umano fosse limitato a pochissimi segni per servire alle sole necessità estrinseche e corporali della vita; e per l’altra parte considerando le verissime osservazioni del Soave (Appendice 1 al capo II, lib. 3 del saggio di Locke) e del Sulzer (Osservazioni intorno all’influenza reciproca della ragione sul linguaggio, e del linguaggio sulla ragione, nelle Memorie della R. Accadem. di Prussia e nella Scelta di Opuscoli interes-