Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/110

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96 pensieri (1335-1336)

si è questa di giudicare di una parola o di un modo, non coll’orecchio né coll’indole della lingua, ma col vocabolario? vale a dire non coll’orecchio proprio, ma cogli altrui. Anzi colla pura norma del caso. Giacché gli è mero caso che gli antichi abbiano usato o no tale o tal voce in tale o tal modo ec., e che, avendola pure usata, sia stata o no registrata e avvertita da’ vocabolaristi. Ma non è caso ch’essi abbiano data o non data alla lingua la facoltà di usarla ec., e che quella voce, forma ec. convenga o non convenga colle proprietà della lingua da loro formata e col suo costume ec. E questo non si può giudicare col vocabolario, ma coll’orecchio formato dalla lunga ed assidua lettura e studio non del vocabolario ma de’ classici, e pieno e pratico e fedele interprete e testimonio dell’indole della lingua, sola solissima norma per giudicare di una voce o modo dal lato della purità e del poterlo usare ec. E questa fu l’unica guida di tutti quanti i classici scrittori  (1336) sí di tutte le lingue come della nostra prima del vocabolario, dal quale che effetto sia risultato in ordine alla stessa purità dello scrivere e quanto egli abbia giovato alla conservazione della purità della favella, a cui pare che dovesse principalmente giovare, vedi la prefazione del Monti al secondo volume della Proposta.


     Io qui non intendo solamente difendere i nuovi usi delle parole (nel rispetto soprannotato) che si fa per sola utilità, ma quello pure che si fa per mera eleganza, senza necessità veruna, ma serve colla sua novità a dare alla locuzione ec. ec. quell’aria di pellegrino e quel non so che di temperatamente inusitato e diviso dall’ordinario costume, da cui deriva l’eleganza ec. (17 luglio 1821).


*    In proposito e in prova di quanto ho detto p. 1322-28, che la grazia deriva dallo straordinario