Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/16

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2 pensieri (1207-1208-1209)

lissima e barbara agli antichi greci e latini ec., alle cui lingue si poteva adattare niente meno che alle nostre ed a quelle stesse forme di versi che usavano, che bene spesso o somigliano o sono a un dipresso le medesime che parecchie delle nostre, massimamente italiane. E di piú sarebbe stata loro piú facile, stante il maggior numero di consonanze che avevano ed anche  (1208) il maggior numero di parole, considerando, se non altro (per non entrare adesso nel paragone della ricchezza), l’infinita copia e varietà delle inflessioni di ciascun loro verbo o nome ec. Cosí che avrebbero potuto usar la rima meglio di noi e piú gradevolmente, cioè piú naturalmente, forzando meno il senso, il verso, l’armonia della sua struttura, il ritmo ec. E nondimeno la fuggivano tanto quanto noi la cerchiamo, ed a noi stessi, avvezzi all’armonia de’ loro versi, parrebbero barbari e disgustosi ponendovi la rima.

Se esistesse un’assoluta armonia, cioè a dire un’assoluta convenienza e relazione fra i suoni articolati, e se i versi italiani (che è pur la lingua e la poesia stimata la piú armonica del mondo) fossero assolutamente armoniosi, lo sentirebbe tanto il forestiero e il fanciullo ignorante della lingua quanto l’italiano adulto né piú né meno. E se quest’assoluta armonia e questi versi assolutamente armonici fossero assoluta e natural cagione di diletto per se stessi, lo sarebbero universalmente, e non piú all’italiano che allo straniero e al fanciullo.

Tutti coloro che non sanno il latino o il greco, di qualunque nazione sieno, non sentono armonia veruna ne’ versi latini o greci, se pur non sono assuefatti lungamente ad udirne per qualsivoglia circostanza,  (1209) ed allora, notandone a poco [a poco] le minute parti e le minute corrispondenze e relazioni e regolarità, non si formano l’orecchio a sentirne e gustarne l’armonia. Il qual processo è necessario anche a chi meglio intenda il latino ed il greco.