Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/395

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(1810-1811-1812) pensieri 381

3o, Che anche, e notabilmente per questa ragione, le lingue nuove stentano moltissimo ad essere apprezzate in punto di letteratura da coloro stessi che le parlano e scrivono e ad esser considerate come capaci del bello e squisito stile ec.  (1811)

4o, Che però i primitivi scrittori sono obbligati, volendo dare a’ loro scritti quell’eleganza che deriva dal pellegrino ec., di accostare spessissimo la loro lingua alla sua madre, siccome fecero i nostri, e siccome si fa ancora, non bastando l’antico fondo della nostra lingua (in buona parte anticato e brutto e rozzo) a quella peregrinità di voci, frasi e forme che si ricerca all’eleganza. Ottimo partito è questo di avvicinarla ad una lingua, già formatissima, le cui ricchezze essendo la fonte delle nostre, tutto ciò che se ne attinge con giudizio è come un’antica appartenenza della nostra lingua, che ha tanto di peregrino quanto può trovarsi nel mezzo fra l’elegante e il brutto, che è cagionato parimente dallo straordinario, quando questo passa certi termini: e però il pellegrino che deriva dalle parole forestiere è ordinariamente brutto, o per lo manco non elegante. Nondimeno i primi scrittori furono talvolta forzati di attingere anche dalle lingue forestiere, come fecero i nostri, ma  (1812) poco felicemente, dal provenzale, e come con eguale e maggiore infelicità hanno fatto e fanno altri scrittori primitivi in quasi tutte le lingue; i russi dal francese, gli svedesi prima dal latino (che oltre l’esser morto è anche forestiere per loro) e poi, come oggi, dal francese ec. ec.

5o, Che la lingua italiana, sebbene mirabilmente ricca, dovette essa pure soggiacere primitivamente a questi bisogni, giacché la ricchezza vera e contante di una lingua non è mai anteriore alla sua piena formazione, cioè completa applicazione alla letteratura. E la nostra lingua allora fu per lungo tempo, cioè sino a tutto il cinquecento almeno, considerata prima da