Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/124

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112 pensieri (2218-2219-2220)

se può, certo lo fa), nel riconoscere o nel figurarsi, ma certo persuadersi e procurare con ogni sforzo di persuadersi fermamente, ch’essi sono eccessivi, senza fine, senza limiti, senza rimedio né impedimento né compenso né consolazione veruna possibile, senza alcuna circostanza che gli alleggerisca; nel vedere insomma e sentire vivacemente che la sua sventura è propriamente immensa e perfetta e quanta può essere per tutte le parti e precluso e ben serrato ogni adito o alla speranza o alla consolazione qualunque, in maniera che l’uomo resti propriamente solo colla sua intera sventura. Questi sentimenti si provano negli accessi di disperazione, nel gustare il passeggero conforto del pianto (dove l’uomo si piglia piacere a immaginarsi piú infelice che può), talvolta anche nel primo punto e sentimento o novella ec. del suo male ec.  (2219)


     L’uomo in tali pensieri ammira, anzi stupisce di se stesso, riguardandosi (o proccurando di riguardarsi, con fare anche forza alla sua ragione e imponendole espressamente silenzio, nella sua, coll’immaginazione) come per assolutamente straordinario, straordinario o come costante in sí gran calamità, o semplicemente come capace di tanta sventura, di tanto dolore e tanto straordinariamente oppresso dal destino; o come abbastanza forte da potere pur vedere chiaramente, pienamente, vivamente e sentire profondamente tutta quanta la sua disgrazia.


     E questo è ciò che ci proccura il detto piacere, il quale non è insomma che una pura straordinaria soddisfazione dell’amor proprio. E questa soddisfazione dove la prova egli l’amor proprio? nell’estrema e piena disperazione. E donde gli viene, in che si fonda, che soggetto ha? l’eccesso, l’irremediabilità del proprio male.


    La disperazione è molto ma molto piú piacevole della noia. La natura ha  (2220) provveduto, ha me-