Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/257

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(2445-2446-2447) pensieri 245

latine da cui esse derivavano; 4o, o perchè, sussistendo anche queste voci, non sussiste piú il costume di derivarne le altre parole in quei tali modi latini; e cosí le originarie e le derivate, quanto al latino, nella lingua nostra sono indipendenti l’une dall’altre e rispetto alla nostra lingua non hanno fra loro alcun’affinità (forse neanche di significato, per le solite alterazioni),  (2446) ma l’une e l’altre quanto all’italiano si debbono egualmente riconoscere per radicali.

Da tutte le quali cose è seguito che, abbondando noi sommamente di radicali, abbiamo intermesso, e poi lasciato e finalmente quasi dimenticato l’uso delle derivazioni e principalmente delle composizioni di nuove parole; e con ciò resolo assai difficile a chi voglia richiamarlo. Il qual uso, sebbene non tanto quanto in greco e in latino, pur fu comune ai primi scrittori italiani, perciocché la lingua era ancor povera di radici, come accade a tutte le lingue ne’ loro principii, e quindi si ricorse necessariamente a questo mezzo, a cui tutte le lingue ricorrono col perfezionarsi. Ma impinguata poi la lingua sí con questo mezzo, sí coll’arricchirla d’infinite parole latine, che per noi, come ho detto, vengono ad esser tante radici, si dimenticò l’uso della derivazione e composizione, come suol pure accadere alle altre lingue per cagioni simili; per esempio, alla lingua latina accadde quando ella s’impinguò strabocchevolmente di parole greche, le quali per lei divenivan tante radicali, e cosí cresciuto di moltissimo il numero delle sue radici dimenticò o scemò l’uso di comporre o derivare nuove parole dalle già esistenti, per li nuovi bisogni, come  (2447) ho significato di proposito altrove.

Né perciò la lingua latina ne divenne piú potente che fosse prima: né la lingua italiana similmente. Le radici, per quante vogliano essere, son sempre poche al bisogno, essendo infinite le idee e la memoria, e le facoltà degli uomini essendo limita-