Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/292

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280 pensieri (2505-2506-2507)

venzale cosí domestica agl’italiani cólti, che le sue parole o frasi, italianizzandole, non erano enigmi  (2506) per loro, e cosí poco volgare che le dette voci e frasi non erano ordinariamente nella loro bocca (come non lo sono ora le latine che, per esempio, i poeti derivano di nuovo nell’italiano, e che tutti intendono) né in quella del popolo: il quale però eziandio era sufficientemente disposto ad intenderle, senza perdere il piacere del pellegrino, a causa delle canzoni provenzali, amorose ec. ch’andavano molto in giro e si cantavano ec. Or dunque da queste canzoni e dalla letteratura e dalla lingua provenzale tirò Dante molte voci e modi per essere elegante: e ci riuscí allora, e con tutti questi che oggi si chiamerebbero barbarismi, sí egli, come Omero e tali altri scrittori primitivi, s’hanno da per tutto per classici e taluni per eleganti; o se s’hanno per ineleganti, viene piuttosto dall’arcaismo che dal barbarismo.

Insomma, il barbarismo, quando è veramente un parlar pellegrino, e che non ripugna ec. come sopra, e che s’intende, è  (2507) sempre (da qualunque lingua sia tolto, rispetto alla lingua propria) non solo compatibile coll’eleganza, ma vera fonte di eleganza.

Cresciuta, formata, stabilita la lingua e la letteratura di una nazione, interviene le piú volte che, introducendosi il commercio fra questa ed altre lingue e letterature, parte l’uso e l’assuefazione di udire voci e modi forestieri, parte la necessità di riceverne insieme cogli oggetti, coi libri, coi gusti, cogli usi, colle idee che da’ forestieri si ricevono, parte l’amor delle cose straniere e la sazietà delle proprie, ch’é naturale a tutti gli uomini, sempre inclinati alla novità (vedi Omero, Odissea, I, v. 351-2), parte fors’anche altre cagioni riempiono la favella nazionale di voci e modi forestieri, in guisa che a poco a poco, dimenticate o disusate le voci e maniere proprie, di-