Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/398

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386 pensieri (2701-2702-2703)

lingua si è la parlata, giacché la scritta ancor non esiste. E siccome la lingua italiana e le sue sorelle non derivano dal latino scritto ma dal parlato, e questo in gran parte non illustre, ma principalmente dal plebeo e volgare, quindi la molta conformità di queste nostre lingue cogli antichissimi e primi scrittori latini. Vedi un luogo di Tiraboschi appresso Perticari, Apologia di Dante, capo 43, p. 430 (20 maggio 1823).  (2702)


*   Materia della pigrizia non sono propriamente le azioni faticose, ma quelle, faticose o no, nelle quali non è piacere presente, o vogliamo dire opinione di piacere. Niuno è pigro al bere o al mangiare. Lo studio è cosa faticosissima. Ma se l’uomo vi prova piacere, ancorché pigro ad ogni altra cosa, non sarà pigro a studiare, anzi travaglierà nello studio gl’interi giorni. E forse la massima parte delle persone assolutamente studiose sono infingarde, e pure nello studio operano e si affaticano continuamente. Il fine dei pensieri e delle azioni dell’uomo è sempre e solo il piacere. Ma i mezzi di conseguir quello che l’uomo si propone come piacere, ora hanno piacere in se stessi, ora no. Questi ultimi sono materia della pigrizia, ancorché domandino pochissima fatica, ancorché il piacere a cui condurrebbero sia vicinissimo e prontissimo e certissimo, ancorché l’uomo faccia molta stima di questo piacere e lo desideri, ancorché finalmente il fine al quale questi mezzi conducono sia necessario, o molto  (2703) utile ad ottenere altri piaceri. Cosí l’uomo si astiene di comparire a una festa (dove crede che si sarebbe trovato con piacere) per non assettarsi; e se si fosse trovato all’ordine, o se non se gli fosse richiesto d’assettarsi, sarebbe andato alla festa: la qual era pure un piacer vicino e pronto, e che si otteneva certamente con un’ora di pochissima fatica. Cosí la pigrizia ritiene ancora da quei travagli che sono ne-