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394 | pensieri | (2716-2717-2718) |
voci fa che ciascheduno scrittore per significare ciaschedun oggetto scelga fra le tante una sola o due parole al piú, e questa si faccia familiare e l’adoperi ogni volta che le occorre di significare il medesimo oggetto; e cosí ciascheduno scrittore in quella lingua abbia il suo vocabolarietto diverso da quel degli altri, e limitato, come altrove ho detto accadere agli scrittori greci ed italiani. E osservo che sebbene (2717) la lingua greca è molto piú varia della latina, nondimeno per la detta ragione le scritture greche, massime quelle degli ottimi e originali, sono meno varie delle latine per ciò che spetta ai vocaboli e ai modi (23 maggio 1823). Vedi p. 2755.
* Chi vuol vedere un piccolo esempio della infinita varietà della lingua greca, e come ella sia innanzi un aggregato di piú lingue che una lingua sola, secondo che ho detto altrove, e vuol vederlo in uno stesso scrittore e in uno stesso libro, legga il Fedro di Platone. Nel quale troverà, non dico tre stili, ma tre vere lingue, l’una nelle parole che compongono il dialogo tra Socrate e Fedro, la quale è la solita e propria di Platone, l’altra nelle due orazioni contro l’amore, in persona di Lisia e di Socrate; la terza nell’orazione di questo in lode dell’amore. Perciocché Platone in queste orazioni adopra e vocaboli e frasi e costrutti (2718) notabilissimamente e visibilmente diversi da quelli che compongono la lingua ordinaria de’ suoi Dialoghi, sebbene in questi egli tratta bene spesso le medesime o simili materie a quelle delle tre suddette orazioni, massime dell’ultima. E i vocaboli, le frasi, i costrutti dell’ultima orazione (di stile tutta poetica, ma non perciò tumida o esagerata o eccessiva o tale che non sia vera prosa) sono pure diversissimi da quelli delle altre due. Né in veruna di queste tre lo scrittore fa forza alla lingua, o dimostra affettazione, come fecero poi quei greci piú recenti che