Pagina:Zibaldone di pensieri VII.djvu/116

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(4180-4181) pensieri 111

3o, facili ad acquistarsi, anzi i piú, difficilissimi, perché, se non altro, esigono una studiatissima educazione, e una lunga formazione dell’animo, e per ciò stesso non possono esser comuni a tutti, anzi ristretti a certe classi solamente, ed alcuni a certi individui. Nel tempo stesso distruggere in se la facoltà di provare, almeno durevolmente, i piaceri naturali. Lo stato naturale dell’uomo ha veramente dei piaceri, facili, comuni a tutti, durevoli, che non sono men veri perciò che noi non li possiamo piú sentire, e però non concepiamo come sieno piaceri. Il solo stato di quiete e d’inazione sí frequente e lungo nel selvaggio (insopportabile al civile) è certamente un piacere, non vivo, ma atto e sufficiente a riempiere una grande e forse massima parte della vita del selvaggio. Vedesi ciò anche negli altri animali. Vedesi (tra i domestici, e piú a portata della nostra osservazione) nei cani, che se non sono turbati o forzati a muoversi, passano volentierissimo  (4181) le ore intiere sdraiati con gran placidezza e serenità di atti e di viso, sulle loro zampe (Bologna, 3 giugno 1826). Moltissimi patimenti poi, massime morali, che senza la civilizzazione non avrebbero luogo, quantunque abbiano il loro rimedio, proccurato dalla stessa civilizzazione, per esempio la filosofia pratica, è ben noto che sono senza comparazione piú facili, piú frequenti, piú comuni essi, che l’applicazione effettiva e l’uso efficace di tali rimedi (Bologna, 3 giugno 1826).


*    Alla p. 4178, fine. L’ipotesi dell’eternità della materia non sarebbe un’obbiezione a queste proposizioni. L’eternità, il tempo, cose sulle quali tanto disputarono gli antichi, non sono, come hanno osservato i metafisici moderni, non altrimenti che lo spazio, altro che un’espressione di una nostra idea, relativa al modo di essere delle cose, e non già cose né enti, come parvero stimare gli antichi, anzi i filosofi fino ai