Pagina:Zibaldone di pensieri VII.djvu/217

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210 pensieri (4267)

dotto l’uomo a curarsi poco e a disperare omai del piacere (30 marzo 1827). Simile è in ciò il piacere alla quiete, la quale quanto piú si cerca e si desidera per se e da se sola, tanto si trova e si gode meno, come ho esposto in altro pensiero poco addietro. Il desiderio stesso di lei è necessariamente esclusivo di essa, ed incompatibile seco lei.


*    Alla p. 4240. La sopraddetta utilità della pazienza non si ristringe al solo dolore, ma si stende anche ad altre mille occasioni; come se tu hai da aspettare, da fare un’operazione lunga, monotona e fastidiosa; da soffrire una compagnia noiosa, mentre hai altro da fare; ascoltare un discorso lungo di cosa che nulla t’importa, un poeta o scrittore che ti reciti una sua composizione; e cosí discorrendo: dove l’impazienza, la fretta, l’ansietà di finire, l’inquietudine ti raddoppiano la molestia. In somma si stende a tutte le occasioni e stati dove può aver luogo quello che noi chiamiamo pazienza e impazienza; a tutti i dispiaceri; o sieno dolori o noie (Recanati, 31 marzo 1827).


*    Quegli tra gli stranieri che piú onorano l’Italia della loro stima, che sono quei che la riguardano come terra classica, non considerano l’Italia presente, cioè noi italiani moderni e viventi, se non come tanti custodi di un museo, di un gabinetto e simili; e ci hanno quella stima che si suole avere a questo genere di persone; quella che noi abbiamo in Roma agli usufruttuarii per cosí dire, delle diverse antichità, luoghi, ruine, musei ec. (31 marzo 1827).


*    «The ancients (to say the least of them) had as much genius as we; they constantly applied themselves not only to that art, but to that single branch of an art, to which their talent was most powerfully