Pagina:Zibaldone di pensieri VII.djvu/277

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268 pensieri (4322-4323)

ritmici, non metrici, fatti cioè ad un certo suono, non ad una regolata e costante misura; alla quale (mediante però l’ammissione di quelle loro infinite irregolarità ed anomalie, che furono chiamate e si chiamano eccezioni, licenze, ed ancora regole) fossero ridotti in séguito dai diaschenasti ec. Cosí è probabile che originalmente e nell’intenzione dell’autore fossero ritmici i versi di Dante, ridotti poi per lo piú metrici nello stesso secolo decimoquarto. E cosí, come ha provato un loro dotto editore, il Dott. Nott, che mi ha eruditamente parlato di questa materia, furono puramente ritmici i versi dell’inglese Chaucer. Lo furono ancora certamente quelli de’ piú antichi verseggiatori nostri, provenzali, spagnuoli, francesi. Vedi p. 4334, 4362.  (4323) Ma quello in cui la mia ragione non può trovare una probabilità, non solo nel caso di Omero, ma né anche in quelli di Ossian e di qualunque altro si possa addurre in proposito, è che dei canti, certo in ogni modo assai lunghi, improvvisati, per esempio a un convito o ad una festa pubblica, in mezzo a gente ubbriaca o dal vino o dalla gioia ec., da un poeta, forse ancor esso οὐ νήφοντος in quel momento, e ciò in un secolo privo di stenografi e di tachigrafi; dei canti che, secondo ogni verisimiglianza, dovevano esser dimenticati dal poeta stesso un momento dopo, anzi di mano in mano che li proferiva; si sieno, non solo quanto al soggetto, ma quanto alle parole, conservati nella memoria semplice degli ascoltanti, in maniera che trasmessi poi fedelmente di bocca in bocca per piú secoli, distinti ben bene ne’ loro versi (ritmici o metrici poco vale), ora dopo trenta secoli si leggano begli e stampati in milioni d’esemplari, che li conserveranno ai futuri secoli in perpetuo. Apparentemente il Müller, che pone Omero nel secondo secolo dalla guerra troiana, (vedi p. 4330, capoverso 3) non riconosce nelle cose e nelle parole dell’Iliade e dell’Odissea, quei segni