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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/150

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sotto alla fiamma del gas non c’era che un vaso da notte dimenticato in mezzo ad un disordine di salviette e di gonnelle lasciate per terra. Quella camera fa l’ultima visione che recò seco. In alto, al quarto piano, si soffocava. Tutti gli odori, tutte le fiamme venivano a battere là; il soffitto giallo sembrava cotto; una lanterna ardeva in una nebbia rossastra.

Per un momento il conte si tenne saldo alla balaustrata di ferro, che trovò tepida di un tepore vivente, e chiuse gli occhi, libò in un’aspirazione tutto il sesso della femmina, che tuttora ignorava, e che ormai gli batteva nel viso.

— Venite, dunque! gridò Fauchery, sparito da un momento; vi si chiama.

C’era, in fondo al corritoio, il camerino di Clarissa e di Simona, uno stambugio di forma oblanga, sotto i tetti, con pareti che s’abbassavano improvvisamente ad angoli tagliati fuor di laogo. La luce veniva dall’alto per mezzo di due fori profondi. Ma, in quell’ora di notte, quattro becchi di gas illuminavano il camerino, tappezzato di una carta da sette soldi la pezza, con fiori color di rosa sopra dei rami verdi.

Due tavole poste vicine servivano da tavoletta; erano coperte di tela cerata, fatta nera dall’acqua versatawi, e sotto le quali

stavano brocche in zinco ammaccate; secchie piene di ri© sciacquatura, anfore in terra cotta grossolana. C’era una mostra di oggetti da bazar, ritorti, lordi, guasti dall’uso, catini screpolati, pettini senza denti; tutto il disordine creato dalla fretta, dalla sbadataggine di due donne che si lavano, si spogliano in comune, in un luogo dove stanno solo di passaggio e di cui la sconcezza non le riguarda.

_ — Venite, dunquel riprese Fauchery con quella dimestichezza che si stabilisce fra gli uomini in casa delle cortigiane; c’è qui Clarissa che vuol darvi un bacio.

Maffat si decise-ad entrare; ma restò assai stupito scorgendo il marchese di Chouard seduto fra le due tavolette su d’una seggiola.

S’era messo là, ed allargava le gambe, perchè da una secchia screpolata sfuggiva una gora biancastra. Si vedeva ch’egli si sentiva a suo agio, che conosceva i migliori cantucci, ringalluzzito e beato in quell’afa da stanzino da bagno, in quella