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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/195

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piastricciato di giallo e scivolò nel cortile da una porta che non era mai chiusa a chiave. A quell’ora, la corte, umida e stretta come il fondo d’un pozzo, coi cessi impestati, la fontana, il fornello e le piante di cui la custode l’ingombrava, era inondata da una nebbia fuligginosa: ma le due mauraglie che sorgevano da ambi i lati, forate da innumerevoli fine stre, sfolgoravano; c’era a terreno il magazzeno degli accessorii, la stazione dei pompieri, a sinistra l’’amministrazione, a destra ed in alto i camerini degli artisti. Quelle finestre, Jungo-quel pozzo, sembravano bocche di fornace scavate nelle tenebre i

Il conte, avendo subito scorto un lume nel camerino di Nana al primo piano, restò consolato e felice, gli occhi per aria, nel denso fango e nello schifoso lezzo di quel cortile di vecchia bicocca parigina.

Grossi goccioloni piovevano da una grondaia rotta; un raggio di gas, filtrando dalla finestra della Bron, ingialliva un lembo di selciato coperto di musco, il piede di un muro, corroso dalle fetide umidità d’un acquaio, tutt’un angolo lurido, ingombro di vecchie secchie e di ciottole fesse, dove una magra fusaggine verdeggiava in una pentola.

Si udì un improvviso scricchiolar di spagnolette, il conte fuggì.

Di certo Nana stava per scendere. Tornò davanti al gabinetto di lettura, ove nell’ombra diradata solo da un riverbero di lumicino da notte, il vecchierello non s’era mosso, il profilo rotto dal giornale. Qui, Muffat ricominciò a camminare.

Ora egli spingeva la sua passeggiata un po’ più in là, attraversava la galleria grande, giungendo fino alla galleria Feydean, -gelida e deserta, immersa in una lugubre oscurità, e ritornava indietro, passava davanti al teatro, svoltava l’angolo della galleria S. Marco, arrischiandosi fino alla galleria Montmartre, “dove-una macchina che segava dello zuccaro, in un fondaco di coloniali, fermò la sua attenzione. Ma, al terzo giro, il tiimore- che Nana gli avesse a fuggir dietro le spalle vinse ogni rispetto umano. Si piantò, con l’altro signore, davanti al teatro stesso, scambiandosi a vicenda un’occhiata umilmente fraterna ancor accesa però di un intimo sospetto di rivalità possibile.