Vai al contenuto

Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/237

Da Wikisource.

— 233 —


In quei giorni, c’era ancora più sporco, non si poteva più entrare perchè c’erano mucchi di ciarpe contro gli usci, cadutevi attraverso la soglia. Per cui ella finiva per non rigovernare più la casa.

Di notte, alla luce della lampada, l’armadio a speechi, la pendola, e quanto restava delle cortine, poteva ancora illudere i visitatori. D’altronde, da sei mesi, il suo padrone di casa

minacciava di cacciarla via. Allora, per chi avrebbe ella con servato in buon stato quei mobili? Pel padrone forse? Baie!

E quando si levava di buon umore, gridava: «Avanti dunque!»

lanciando calci ai lati dell’armadio e de cassettone, che scriechiolavano.

Nana, quasi sempre, la trovava mala Anche i giorni in cui Satin usciva per le provviste, ella era così stanca, rientrando, che si riaddormentava, buttata sulla sponda del letto.

Tatto il giorno si trascinava qua e là, sonnecchiando sulle

seggiole; non usciva -di torpore che verso sera, alla luce del gas.

E Nana si trovava benissimo in quel luogo, seduta colle mani in mano, in mezzo al letto disfatto, le catinelle lasciate per terra, le gonne inzaccherate, che sporcavano di fango le poltrone. Erano cicalecci, confidenze senza fine, mentre Satin, in camicia, ravvoltolata coi piedi più alti della testa, l’ascoltava fumando sigarette.

Tal volta si regalavano d’un bicchierino d’assenzio, i i dopo pranzo in cui avevano dei dispiaceri «per dimenticare»

«come dicevano loro: senza scendere, senza nemmanco infilare na gonnella, Satin andava sul pianerottolo, si sporgeva al di sepra della ringhiera, e vociava la cemmissione alla piecina della portinaia, una monelluccia di dieci anni,-la quale recando l’assenzio, mandava una furtiva occhiata alle gimbe nude della signora. Tatti i discorsi delle due amiche andavano a finire sulla sconcezza degli uomini.

Nana era noiosa oltre ogni dire, col suo Fontan; non poteva infilar dieei parole senza ricadere in ripetizioni su ciò ch’ei diceva, su quel ch’ei faceva. Ma Satin, da buona ragazza, ascoltava senz’uggia quell’istorie sempiterne d’attese alla finestra, di liti per un intingolo bruciato, di riconcilia-