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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/277

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Soa

Ma quel che gli fe’ colpo, all’ uscire dall’oscurità e dal frastuono della scena, fu la luce bianca, la calma profonda di quella scala che aveva veduta una sera così affamicata di gas, ingombra da uno stormo di donne, faggenti attraverso i ripiani. 8’indovinava che i camerini erano deserti, gli an» droni vuoti, non c’ era un’ anima, non un sussurro: mentre dalle finestre quadrate aperte a livello degli scalini, entrava il pallido sole di novembre, gettando degli strati di luce in cui danzavano gli atomi di polvere, nella morta pace che scendeva dall’ alto.

Egli si sentì lieto di quella calma, di quel silenzio; e mentre saliva lentamente, cercando di riprender fiato, il cuore gli batteva forte, una paura gli prendeva di condursi come un fanciullo, con dei sospiri e delle lagrime.

Al primo pianerottolo s’ appoggiò un momento alla parete, sicuro di non esser veduto; e, col fazzoletto alle labbra si diò a contemplare astratto i gradini logori, la balaustrata di ferro resa lucida dallo sfregamento, l’ intonaco screpolato, tutta quella povertà di casa di tolleranza, così manifesta in quell’ ora scialba del pomeriggio, in cui dormono le cortigiane.

Nel giungere al secondo piano, gli toccò scavalcare un grosso gatto falvo, accovacciato al sole, su d’uno scalino; Con gli occhi semichiusi, quel gattone, custodiva solo la casa, pieno di sonnolenza fra gli odori stantii e rinchiusi che le donne lasciavano colà ogni sera.

Nel corritoio di destra, la porta del camerino infatti era. soltanto raccostata.

Nana aspettava.

Quella piccola Matilde, una lercia d’ ingenua, teneva quel camerino molto sudicio, con dei vasi screpolati, sbandati qua e là, una toeletta lurida, una seggiola macchiata di rosso, come se qualcuno vi avesse perduto sopra del sangue. La carta tesa alle pareti ed al soffitto, era chiazzata fino al soffitto da spruzzi di acqua insaponata. C’era in quel camerino un odore così cattivo, un profumo di lavanda inacidita, che Nana aperse la finestra. Restò un momento poggiata al davanzale, respirando, chinandosi per vedere al di sotto madama Bron, la quale spazzava con persistenza il lastrico erboso Zora — Nana. 18