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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/370

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E tornò a sdraiarsi, mandando fuori un sottile sa di fumo, come se non volesse entrarci punto in quelle cose, e non se ne pigliasse pensiero.?

Erano tutte sciocchezze!

Zoè intanto aveva introdotto Muffat nella camera, ove un odore di etere era diffuso nel tiepido silenzio, raramente interrotto dal rumore delle carrozze che passavano nel viale Villiers. Nana, che appariva pallida pallida sui guanciali, non dormiva, aveva anzi gli occhi aperti e pensosi.

Nel veder il conte, sorrise senza muoversi.

— Ah, mio caro, mormorò piano, credevo di non rivederti mai più!

Poi, mentre egli sì una per baciarle i capelli, essa s’intenerì, gli parlò della ereatura, in buona fede, come egli ne fosse stato il padre:

— Non aveva osato dirtelo... Mi sentivo così felice! facevo tanti sogni: avrei voluto che fosse degno di te. Ed ora più nulla... Basta, da ieri in poi mi vengo ripetendo che forse è meglio così. Non vorrei metter un impaccio nella tua vita.

Lui, sorpreso di quella paternità a cui non pensava, balbettò frasi sconnesse.

Aveya presa una seggiola e s’era seduto proprio vicino al letto, con le braceia sulle coltri... La giovine donna vide’allora che aveva la faccia contraffatta, gli occhi iniettati di sangue, le labbra tremanti di febbre.

— Che hai? domandò. Sei malato _tu?

— No, disse con stento.

Essa lo guardò seria seria. Poi, con un cenno, rimandò Zoè che s’indugiava a rimetter in ordine delle ampolle, e quando fu sola con lui, se lo attirò vicino ripetendo:

— Che hai, caro? I tuoi occhi son gonfi di lagrime, lo vedo... Suvvia, parla, sei venuto per dirmi qualcosa.

— No, no, te lo giuro, balbettava lui.

Ma, vinto dalla sofferenza, intenerito dalla vista di quella camera da ammalata ove cadeva senza aspettarsela, ruppe in singhiozzi, nascose la faccia nelle lenzuola per soffocar l’esplosione del suo dolore.

Essa lo lasciò piangere un momento, scosso da convulsioni così forti, che la faceva tremare sul letto.