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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/371

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Finalmente mormorò con voce di materna compassione!

— Hai avuto nuovi dispiaceri a casa tua?

Egli fe’ cenno di sì col capo. Essa riprese dopo uua pausa con voce affatto sommessa:

— Allora, sai tutto?

Egli ripetè il cenno.

Il silenzio tornò a regnare malinconico in quella camera da malato.

Il dì prima, nel tornar da una veglia a corte, Muffat aveva, trovato la lettera scritta da Sabina all’amante. Dopo una notte atroce, passata a sognar vendetta, egli era uscito per resister alla tentazione di schiacciar sua moglie.

In istrada, nel tepore della mattina di giugno, non aveva più potuto concatenar le sue idee, ed era venuto macchinalmente da Nana come ci veniva sempre, nelle are terribili della sua vita. Soltanto colà s’abbandonava al dolore con la gioia codarda d’esser consolato.

— Suvvia, calmati, riprese la giovine donna con gran bontà. È un-pezzo che lo so. Ma per certo non avrei mai voluto aprirti gli occhi. Ti ricordi, che, l’anno scorso, avevi dei sospetti... Poi, per mancanza di certezza ed un po’ anche, grazie a me, le cose s’erano accomodate. Ti mancavano le prove... Oggi, perdinci, ne hai una: è duro, capisco. Però, bisogna farsi una ragione. Non si è disonorati perciò.

Egli non piangeva più: abbenchè da lungo tempo av esse preso il costume di lasciarsi sfaggire le confidenze le più intime sulla propria famiglia, risentiva però una certa vergogna. Nana dovette incoraggiarlo, dicendogli che essa era una donna che poteva udir tutto. Poi, siccome egli balbettava con voce sorda:

— Tu sei malata. A che stancarti? È stata una sciocchezza da parte mia il venire. Me ne vado. Essa rispose pronta:

— Ma no, no. Resta. Ti darò forse un buon consiglio. Soltanto non farmi parlar troppo; il medico lo ha proibito.

Egli s’era finalmente alzato; camminava per la camera, Nana lo interrogò.

— Che farai ora? — Schiaffeggerò colui, perdio!