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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/377

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— Quando credete ch’essa possa alzarsi? chiese il conte.

— Oh! non prima di quindici giorni. Del resto, non o’è alcun pericolo, ve ne: accerto..

Muffat se ne andava, molto commosso. Non sentiva più nessun’altra impressione che l’intenerimento d’aver trovato la sua povera Nana a letto.

Mentre usciva, essa lo richiamò con un cenno, gli porse la fronte, poi, a voce sommessa, con scherzosa minaccia:

— Ricordati quel che t’ho promesso, disse. Quando sarò guarita, non ti riceverò se non avrai fatta la pace con tua moglie.

La contessa Sabina aveva voluto inaugurare con una festa, all’occasione del contratto di matrimonio d’Estella, le sale ristaurate del suo palazzo, ove le tinte erano ancor fresche.

Aveva fatto cinquecento inviti, un po’ in tutti i circoli sociali.

Alla mattina i tappezzieri inchiodavano ancora degli addobbi, e: mentre sì stava per accendere le lumiere, l’ architetto, accompagnato dalla contessa, la quale era tutta faoco;, dava gli ultimi ordini.

Era una di quelle feste primaverili, che hanno tanto: incanto. (irazie al tepore delle sere di giugno, s’era potuto aprir le porte delle sale e prolungare il ballo fin sulla sabbia del giardino.

Quando i primi invitati giansero, restarono abbagliati.

Bisognava far uno sforzo di memoria per ricordare la sala di prima, quella sala in cui perdurava la gelida rimembranza della vecchia contessa Maffat, quel salone antico, spirante severità a devozione, coi suoi mobili di mogano massiccio, i suoi addobbi di velluto giallo, il suo soffitto verdognolo, macchiato d’amidità.

Ora invece, fin dall’ ingresso, nell’atrio, i mosaici, arricebiti d’oro, splendevano sotto alti candelabri, mentre uno scalone di marmo biancheggiava cinto da balaustrate e delicate «sculture.

Più in là sfolgorava la sala, addobbata di velluto di Genova, con sul soffitto una immensa decorazione di Boucher, pagata centomila lire dall’architetto alla vendita del castello -di Dampierre.