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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/391

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La religione voleva quel mutuo perdono; però, fa convenuto fra di loro, per tacito accordo, che ognuno serberebbe la propria libertà.

Prima di coricarsi, siccome pareva che la contessa esitasse tuttavia, parlarono d’affari.

Il conte pel primo propose di vendere le Bordes.

Essa acconsentì tosto,

Avevano entrambi immensi bisogni; fu stabilito che dividerebbero il denaro, e così la conciliazione fa suggellata.

Muffat, ne risentì un vero sollievo ne’ suoi rimorsi.

In quel dì appunto, verso le due, mentre Nana sonnecchiàva, Zoè picchiò all’uscio della camera.

Le cortine erano calate, il tepido soffio entrava dalla finestra, nella silenziosa frescura della penombra.

Nana, d’altronde, affatto ristabilita, quantunque ancora un po’ debole, si alzava già.

Aprì gli occhi e chiese:

— Chi è?

Zoè stava per rispondere. Ma Daghuenet, senza darlene tempo, s’annunziò da sò.

Nana si rizzò, e rimandando la cameriera:

— Come! Sei tu? Il giorno delle tue nozze?

Lui, sorpreso dall’oscurità, restò un momento immobile in mezzo alla camera, poi, abituatosi all’ombra, s’ inoltrò. Era in giubba, con guanti e cravatta bianca, e ripeteva:

— Ma sì, son io! Non ti ricordi?

No, essa non si ricordava di nulla, per cui egli dovette recisamente offrirsi, con quel suo fare da canzonatore.

— Ma, e la tua senseria? Ti porto le primizie della mia innocenza.

Allora, Nana gli gettò le braccia al collo, ridendo forte forte, con lagrime agli occhi, tanto era commossa da quer l’atto di cortesia.

— AA! quel Mimì è pur buffo! Se ne è ricordato! Ed iò. che non sapeva più... E così, sei scappato, eh? Esci di chiesa? È vero, senti d’incenso! Suvvia, abbracciami’; più forte, mio Mimì: è forse l’ultima volta! 1

- Nella camera buia, in cui c’era un vago odore di etere, il loro tenero riso si spense.