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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/398

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mento che aveva guastato il suo, ella si diede la gioia d’ un massacro, pestando su quelli oggetti, provandogli che non ve n’era uno di solido, distraggendoli dal primo all’altimo. Una luce strana s’accendeva ne’suoi occhi vuoti, un lieve rialzo delle labbra mostrava i suoi denti bianchi. Poi, quando tutto fu fatto in pezzi, tutt’accesa in volto, ripresa dal ridere, battè le palme sulla tavola, balbettando con voce da bidio: china. ©

— Finito! Più niente! più niente! i

Allora Filippo, vinto da quell’ebbrezza, si rasserenò e le baciò il seno, facendola cader riversa sulle braccia. Ella gli si abbandonava, reggendosi alle sue spalle, così felice, che non si ricordava di essersi tanto divertita da un pezzo. E, senza lasciarlo, in tono carezzevole:

— Di su, carino, dovresti portarmi dieci luigi; domani.... Una seccatura, un conto del fornaio che mi tormenta.

Egli aveva impallidito; poi, mettendole un ultimo bacio in fronte, disse semplicemente:,;

— Procurerò i

— Vi fa un silenzio. Essa si vestiva. Lui, poggiava la fronte ad un vetro. In capo adi un minuto, si volse, riprese con lentezza:

— Nana, dovresti sposarmi.

D’un colpo, l’idea rallegrò talmente la giovane, che non poteva finire di allacciarsi le gonnelle.

— Ma, il mio poveraccio, tu séi malato!.... Gli è perchè ti chiedo dieci luigi, che mi offri la tua mano?.... Giammai! Ti amo troppo. Ecco una corbelleria, per esempio!

E siccome Zoò entrava per calzarla, non ne parlarono altro. La cameriera aveva subito sbirciato i regali fatti in bricciole sulla tavola. Chiese se bisognava ripor quella roba; e la signora uvendole detto di buttarla via, essa raccolse tutto nel suo grembiale, e lo portò in cucina, ove la servitù si mise a rimondare e a spartirsi i resti della signora.

In quel giorno, Giorgio, malgrado: il divieto di Nana, si era introdotto nel palazzo. Francesco lo aveva ben visto passare, ma i servi, oramai si divertivano degli impicci della padrona. Si era appena inoltrato fino nel salottino, quando