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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/431

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riempivano a poco a poco di un’ammirazione che gli faceva battere il cuore.

Quando Zoòè ridiscese a prenderlo, gli offerse di fargli visitare gli altri ambienti, il gabinetto di toeletta, la camera da letto. Allora, nella camera, il cuore di Mi&non scoppiò; ei si sentiva trasportato, lanciato in un intenerimento d’ entusiasmo. Quella briccona di Nana lo faceva restar di stucco, lui che se ne intendeva, per bacco!

In mezzo allo scompiglio della casa, nel sciupin sfrenato, nel massacro feroce del servidorame, vi era un affastellamento di ricchezze che turava nondimeno i buchi, e traboccavano al di sopra delle rovine.

E Mignon, in faccia a questo monumento magistrale, rammentava le opere colossali. Vicino a Marsiglia, gli era stato mostrato un acquedotto, i cui archi di pietra scavalcavano un abisso, opera da ciclopi che costava i milioni e dieci anni di lotta. A Cherbourg, aveva veduto il nuovo porto, un cantiere immenso, delle centinaia d’uomini, sudanti al sole, macchine che colmavano il mare di quarti di roccie, innalzando una muraglia, ove talvolta degli operai restavano sfracellati, ridotti in melma sanguinolente.

Ma tutto questo gli sembrava piccolo, Nana lo esaltava maggiormente; e ritrovava davanti all’opera di lei, quella senzazione di rispetto da lui provata una sera di festa, nel castello che un raffinatore si era fatto costruire, un palazzo, di cui un’unica materia, lo zuccaro, aveva pagato lo splendore regale. Lei, era con qualche cosa d’altro, una piccola bagatella di cui si rideva, con un poco della sua delicata nudità, era con quel nulla obbrobrioso e possente, la cui forza sollevava il mondo, che da sè sola, senza operai, senza macchine inventate da ingegneri, aveva scosso Parigi, ed edificato quella fortuna, sotto cui dormivano dei cadaveri.

— Ah! giuraddio! che arnese! lasciò sfaggirsi Mignon nella sua ammirazione, con un senso di gratitudine personale. ®

Nana era caduta a poco a poco in un grosso cruccio.

Anzitutto, l’incontro del marchese e del conte le aveva messo in corpo una febbre nervosa, in cui c’entrava quasi