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I candidati alla Costituente

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Le due Costituenti Proclama al popolo dello Stato Romano


Il giornale, essendo prossime le elezioni, crede suo debito di esporre brevemente i principii che lo dirigono nel raccomandare al pubblico gli uomini che esso vorrebbe scelti a rappresentanti del paese.

L’imparzialità e il rispetto che il giornale si propone per ogni opinione coscienziosamente sentita e professata non gli impediranno di parlar franco e di tenere una linea di condotta politica propria e determinata.

Prima e indispensabile dote nei suoi candidati esso cercherà quell’onestà personale e pubblica che fa d’un uomo politico un apostolo, d’un’opinione una credenza, d’un partito una religione. Noi vogliamo uomini che sentano quello che dicono: rifiutiamo quell’abitudine d’ipocrisia, che ad una nazione rivocata or ora alla vita, propone per principio di rigenerazione, per primo dogma politico la menzogna sistematica. Noi vogliamo la verità, crediamo che in lei sola stia la forza.

Noi facciamo poco conto delle parole, moltissimo della vita di un individuo. Scruteremo nei nostri candidati i fatti passati; elimineremo gli uomini che o per tristizie o per inettezza hanno mancato all’onore ed agli interessi del paese; non appoggeremo che i nomi di coloro il cui passato ci sia pegno per l’avvenire. Per quanto breve sia stata la nostra vita politica pure fu feconda di tanti avvenimenti e purtroppo di tante delusioni e sventure da cui dobbiamo almeno trarre l’utilità dell’insegnamento.

Noi veneriamo le persone esperimentate da lunghe prove e nondimeno i tempi di rivoluzione logorano le riputazioni cosí rapidamente, che la nostra fiducia si rivolge massimamente alla facile intelligenza, alla vergine coscienza ed alla energia della gioventú.

Noi combatteremo l’influenza d’ogni ordine privilegiato, d’ogni casta qualsiasi. Cercheremo spregiudicatamente il merito, ovunque si trovi, e massimamente in quelle professioni che, educate all’applicazione ed al lavoro, presentano maggiori guarentigie di sapienza pratica, di tendenze e virtú democratiche.

Indispensabile condizione crediamo nei deputati, l’indipendenza personale, principalmente a ciò non si trovino nella Rappresentanza persone la cui posizione non ne renda l’opinione pregiudicata nella grave e vitale questione della separazione dei due poteri.

Grandissima parte de’ mali romani e italiani, venne dall’imbarazzo che ai Papi davano le cure del principato. Quando il Papa potrà tornare ai suoi santi uffici di sacerdote e piú non sarà distratto da mondani pensieri, la religione rifulgerà del suo primo splendore, i popoli credenti saluteranno il Vaticano come sede vera del Vangelo di Cristo e il Campidoglio come oracolo di nuova sapienza civile, come porto di salute a tutte le genti italiane.

Nella vicina Costituente nazionale italiana noi vediamo il terreno dove si agiteranno le quistioni piú importanti del paese, e nondimeno anche per queste l’iniziativa della Costituente dello Stato potrà essere di tale influenza, che importi essenzialmente che i deputati presentino garanzie di opinioni nazionali, sí nel giudizio degli interessi locali, che nelle quistioni generali.

Prime occupazioni dell’Assemblea romana ci paiono: assicurare, svolgere, aumentare le istituzioni liberali. E innanzi tutto essa deve apprestarsi a sanzionare definitivamente, come base di governo per l’avvenire, il gran fatto della sovranità nazionale; deve dare al paese quell’ordinamento politico che è consentaneo colla sua tradizione e col suo stato presente. Anche le maggiori libertà municipali, preparate dal defunto ministero e volute da un bisogno prepotente in Italia, aspettano da’ nostri rappresentanti una definitiva consacrazione. Da essi noi attendiamo del pari ordini migliori nell’amministrazione della giustizia civile e criminale che soprattutto ne garantiscano dalla lentezza, dall’indisciplina e dalla corruzione attuale. Provvedere a che siano diffusi i benefici dell’istruzione principalmente popolare, aiutare la progressiva emancipazione del povero, migliorare le condizioni del contadino coll’impiego di capitali che fecondino la terra che egli coltiva, schiudere nuove fonti di ricchezza aprendo strade e favorendo industrie e commercio, queste sono le opere cui deve provarsi la nuova Assemblea, queste le condizioni del mandato per gli uomini che voi onorerete col vostro suffragio.

Altra quistione esiste, agitata e decisa ormai in varie parti d’Europa, che qui si presenta piú facile a sciogliersi, offrendosi un terreno vergine e ingenti risorse da porre a partito. Non v’ha forse paese piú infelice e trascurato sulla sua posizione economica, piú inceppato dalle «mani morte» nella circolazione e produzione della ricchezza. Però, mentre le altre contrade godono i vantaggi dell’abolizione d’ogni vincolo feudale, noi ci troviamo qui poveri ma innanzi a ingenti risorse accumulate in cui un governo rigoroso e popolare potrebbe aprire una nuova fonte di potenza e di prosperità. L’abolizione dei fidecommessi e delle primogeniture, iniziata dall’ultimo parlamento romano, è un gran passo che conduce necessariamente in questa via. Cosí mentre si adempie ad un dovere di giustizia, e, applicando la legge dell’uguaglianza, si fa il bene di tutti, si rende nel tempo stesso piú prospera e potente la patria.

La passata amministrazione non ci preparò bilanci sufficienti per far fronte onorevolmente alle spese di una guerra nazionale. Anche con l’immediata introduzione di qualsiasi riforma ordinaria non si potrebbe bastare a tanto. Le grandi misure e la emancipazione definitiva da ogni pregiudizio su cui poggia l’inalienabilità feudale sono quindi eminentemente richieste anche dalle necessità di avere un esercito e di provvedere alla vicina guerra. La reazione interna che cova sotto le ceneri, e la vicinanza del nemico straniero e di un principe italiano armato fino ai denti e anch’esso nemico d’Italia, una insurrezione lombarda che può toglierci dal lungo letargo e precipitare gli Italiani tutto ad un tratto in una nuova lotta, dovrebbero rendere febbrile la nostra attività e farci arditi nell’impiego dei mezzi e nell’apprestamento di un materiale da guerra e di un esercito, che valgano a lavare l’onta della recente sconfitta, e ad assicurare per sempre alla cara patria comune l’indipendenza e la libertà.

Né scordiamoci che libertà e indipendenza vera non esistono senza nazionalità. Noi italiani vogliamo essere nazione; epperò nell’imminenza del gran fatto nazionale facciamo di subordinargli ogni questione locale, ogni interesse di provincia.

Per verità Roma è la città in cui gli interessi municipali sono piú favoriti dallo sviluppo del principio nazionale. Questo accentrerà in lei la vita dell’intera penisola. Coi sacrifici con cui le altre provincie acquistano la patria, Roma richiamerà alla luce del Campidoglio le sue grandi tradizioni: tradizioni di grandezza e di libertà. Chi oserà pronunciare il nome di un uomo o d’una dinastia sul suolo in cui dormono le ossa dei tribuni romani?

Coordinare il progresso della libertà e della democrazia cogli interessi provinciali e questi colla grande opera della nazionalità – ecco la via segnata dalla Costituente – ecco la méta che noi le abbiamo imposta, e per cui noi dobbiamo cercare uomini che abbiano cuore e mente per proseguirla.


Note

  1. Pallade, n. 442, Roma, 11 gennaio 1849.