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Programma del nuovo «Diario del popolo»

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Programma del nuovo «Diario del popolo»1
I militari rammentino ch'essi pure son popolo I corpi franchi


Il presente giornale comincia una nuova vita. Noi vi poniamo mano coll’anima agitata dal dolore, dall’ira, e dalla speranza, perché ci passano dinanzi agli occhi le migliaia degli inutili martiri, e udiamo i gemiti dei fratelli raminghi, e la stridula voce dei retori che vanno ispirandosi alle tombe degli antichi scolastici per comporre inni, trattati politici, e panegirici ad uso del carnefice che adatta al loro collo il capestro, e ci corre sulle labbra la parola dello scettico ebreo: «vidi ogni cosa che si fa sotto il sole, ed ogni cosa vanità delle vanità» e poi una voce ci grida: «levati e ascolta»: ci leviamo, protendiamo l’orecchio e la fede ritorna nell’anime nostre, però che in ogni angolo d’Europa le campane suonano a storno contro le moribonde tirannidi, e fra i mille suoni ci pare distinguerne uno che somiglia a quello delle campane di marzo.

Uomini di poca fede, perché dubitate? Per verità la domanda sembra uno scherno. Voi guardate intorno e vedete spalle che sanguinano sotto il flagello degli uomini in cui aveano creduto, e bocche che hanno bevuta la morte nel calice ove credeano bere la vita, e intorno, come accessorii, città vendute, turbe morenti di fame, cadaveri di traditi e stolidi che predicano queste essere inezie a cui non si deve badare... Ma salite piú alti; e vedrete sempre spalle che sanguinano, e turbe di traditi, e accademie di stolidi. Ma salite per Dio sulla vetta del monte!

E voi vedrete l’umana famiglia che cammina nel suo cammino continuamente, logicamente, progressivamente attratta dalla legge di Dio che a mano a mano le si rivela in una parola, in un fatto sensibile e poi in un altro e poi in un altro; se non che ad ogni passo la parola diventa piú sublime, e l’idea traluce piú splendida dal fatto che la ravvolge come fiamma chiusa in un vetro che via via si fa piú trasparente.

E ad ogni passo, ad ogni epoca, corrisponde un maggior grado di unità a cui corrisponde, religione di quello stadio di quell’epoca, un’idea, una parola, tribú, patria, chiesa, nazione, Umanità.

E l’autorità dell’individuo o singulo, o collettivo, che possiede la forza di attuare quell’idea del suo tempo, fu ed è chiamata – ed è veramente – santa, derivata da Dio, così divi furono chiamati li eroi, poi i Cesari, poi l’autorità dei papi, poi quella dei re, ed ora quella del popolo.

E venendo all’applicazione politica noi siamo Unitarii, perché le unità nazionali ci sembrano la méta verso cui Dio agita la presente Europa. Questa tendenza si rivela troppo potentemente nei movimenti dell’Ungheria, della Polonia, dell’Italia. E dicendo unità noi intendiamo naturalmente dire anche indipendenza, giacché senza di questa non può esistere unità nazionale.

Noi siamo democratici, perché esaminiamo una ad una le monarchie, e ci pare che la vita si sia ritirata da loro, perché già da lungo la loro missione è compita, e Dio ha versato sulle moltitudini il crisma che già altre volte si versava dai preti sulla fronte dei re, vero è che un ultimo esperimento fu tentato a’ nostri giorni in presso che tutte le colte nazioni, di galvanizzare cioè il cadavere ravvicinandolo al principio democratico; ma come doveva accadere, l’esperimento è fallito in tutta Europa, e il vivo fu per morire nel pestifero contatto, e il cadavere è rimasto cadavere, però non ci pare che resti altro da fare a questo proposito, sí per ragioni di pietà, che per ragioni di sanità pubblica, che seppellire i morti, e passar oltre.

La missione europea è da Dio affidata alle sole mani dei popoli, e solo costituendosi in forti ed armoniche unità essi possono trovar la forza di compierla; però sulla nostra bandiera sta scritto – «Unità» – «Dio e il Popolo».

Resta che accenniamo quali fatti ci pare corrispondano nella pratica a questi principii, e quali mezzi ci paiono meglio acconci ad attuarli.

Due sono le principali questioni che si agitano al presente in Italia: la guerra d’Indipendenza, e la Costituzione Nazionale.

L’iniziativa della nuova guerra appartiene un’altra volta all’insurrezione Lombarda, perciò è là che prima dobbiamo rivolgere lo sguardo. Forse al momento in cui scriviamo le Armi italiane salutano nuovamente col fuoco l’aquila imperiale, certo a questo si deve giunger tra poco.

L’insurrezione Ungherese che uccide l’Impero divide l’armata del feld-maresciallo. Anche l’Ungheria era finora governata dalle mezze anime degli uomini dei mezzi partiti, questi nel tempo della guerra aveano anch’essi risposto con un sorriso agli «utopisti», i quali predicavano aversi a ritirare le truppe Ungheresi dall’Italia, le quali si facevano strumento della tirannide combattendo contro una nazione sorella, comprando col loro sangue la rovina della loro patria, essere assurdo invocare la propria indipendenza a chi manomette l’altrui. Una essere la causa dei popoli – e sanguinare l’Ungheria per le ferite italiane. Ma gli uomini pratici non sono un privilegio nostro, ve ne erano anche là, e là pure ebbero sventuratamente il di sopra; questi rispondevano essere un ingegnosissimo trovato ottenere, facendo il carnefice, «concessioni e costituzioni» dall’Imperatore, non doversi sacrificare gl’interessi «pratici» ai pregiudizii dei principii, alle teorie degli utopisti. E poco mancò che come i nostri «pratici» condussero Radetzky a Milano, i pratici Ungheresi conducessero Jellochich a Buda. Ma gli Ungheresi si scossero in tempo: traditi dal principe, sollevarono la bandiera del Popolo. E poco dopo l’agonia dell’impero suonava nella stessa Vienna.

La santità del principio proclamato nella patria agiva in Milano sull’armata Ungherese, che salutava la risurrezione dell’Ungheria colle grida di «Viva l’Italia!»

I due principii che dividono l’Europa, la democrazia e la monarchia, la libertà e la tirannide, le tenebre e la luce, il passato e l’avvenire, si combattono nella stessa tenda di Radetzky, ed egli al domani d’una vittoria, comprata Dio sa come, si sente sfuggir la forza per contenere il lombardo-veneto, come nel dí della sconfitta. Tanto è superiore alle vicende della fortuna, alla stoltezza e tristizie degli uomini la legge che trascina i popoli verso la loro méta!

Ora posta una nuova insurrezione quale è la posizione della Lombardia? Qualunque sia l’opinione delle diverse frazioni dell’emigrazione lombarda e dei piú fra gli italiani, pare che un terreno comune sia aperto alla comune attività.

«Guerra all’Austria e sovranità del paese, alla sovranità del quale importa che nessun fatto, nessun potere anteriore alla caduta di Milano possa invocarsi come precedente, come anello di tradizione governativa, come sorgente d’azione legale. Consulta e fusione non esistono piú per noi. Il paese è oggi nella posizione in cui era prima del marzo: schiavo dell’Austria. Sorgente a nuovi fatti, mandati a nuovi poteri esciranno dall’insurrezione, dalla voce del paese risorto. Noi non conosciamo oggi poteri, ma uomini, e li giudicheremo a misura del bene che faranno. È necessario un’organizzazione; deve sgorgare non dai tristissimi fatti passati, ma dalla necessità del presente, dalle speranze dell’avvenire».

Gli uomini che presentano maggiore copia d’influenza e di attività dovrebbero essere i capi naturali di organizzazione siffatta; sarà loro debito organizzare rapidamente, vigorosamente l’insurrezione acciò, unitamente alle armate regolari condotte da «capi responsabili», e ad una larga istituzione di corpi franchi, sgombrare il paese dallo straniero, e preparare le provincie italiane a convenire all’«Assemblea Costituente Italiana», solo, unico legale potere competente a fissare definitivamente le sorti della nazione.

Unico, legale potere sí in forza del principio Unitario il quale non riconosce individualità politica nelle provincie, sí in forza del principio Democratico il quale non riconosce autorità alcuna se non derivata da un mandato popolare. Cosicché insurrezione Lombarda, istituzione di corpi franchi, risponsabilità dei capi in qualsiasi armata regolare, ecco il nostro programma quanto alla guerra.

Assemblea Costituente Italiana. Ecco il nostro programma quanto alla costituzione Nazionale.

Tali suonano applicate alle attuali condizioni dell’Italia le parole «Unità», «Dio e il Popolo» – scritte sulla nostra bandiera –. Che Dio la benedica della vittoria, e gli italiani la sollevino sul fatale Campidoglio, simbolo d’una nuova Era del mondo!


Note

  1. Il Diario del Popolo, 16 ottobre 1848, è il primo numero diretto dal Mameli.