Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/1159

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[p. 450 modifica] solo non isfugge il concorso delle vocali, ma lo ama. Proprietà che la nostra lingua è venuta perdendo a poco a poco, quanto piú s’é allontanata dalla condizione primitiva; e che oggi, non solo dal massimo numero degli scrittori, cioè da quelli di poca vaglia, ma da piú eleganti è per lo piú sfuggita come vizio e come causa di brutto e duro suono, in luogo di dolcezza e di grazia. Massimamente però gli scrittori piú triviali (dico quanto alla lingua e lo stile), o affettati o no, di questo e de’ due ultimi secoli, par ch’abbiano una somma paura che due o piú vocali s’incontrino e storcono le parole in mille maniere per evitare questo disastro.


    E cosí stimo che accada a tutte le lingue in ragione del tempo, dell’indole sua e del ripulimento di esse lingue. E accadde, io penso, anche alla lingua greca. Giacché, lasciando quello che si può notare negli scrittori greci piú recenti, i dittonghi che da principio, e lungo tempo nel séguito, si pronunziavano sciolti, si cominciarono a pronunziar chiusi, e questo costume, come osservò il Visconti, risale fino al tempo di Callimaco, se è veramente di Callimaco un epigramma che porta il suo nome, dove alle parole ναιχὶ καλὸς si fa che l’eco risponda ὔλλὸς ἒχει (epig. 30), la qual cosa dimostra che lo scrittore dell’epigramma pronunziava nechi ed echi come i greci moderni per naichi ed echei. E come io non