<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2719&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20151208090606</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2719&oldid=-20151208090606
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 2719 Giacomo LeopardiXIX secoloZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 395modifica]Degli Scrittori del Trecento, l. II, c. 6. È da notare che molte differenze che s’incontrano in questi scrittori fra la loro lingua e la presente non sono da attribuire alla lingua di quel secolo. Ma elle sono tutte proprie degli scrittori medesimi. I quali in quei primi cominciamenti della nostra lingua illustre, in quella scarsezza di esempi, e quindi di regole della lingua volgare scritta, seguirono quali una strada e quali un’altra, sí nel trovare o crear le voci ai dati oggetti, sí nel collegarle, come quelli ch’erano i primi; e spesso per mancanza d’arte, per cattivo gusto, per povertà di voci o di modi propria loro o della lingua, per vaghezza di novità o per sola ignoranza e poca conoscenza della loro stessa lingua, scritta o parlata, e per non sapere scrivere, divisero le loro scritture dalla lingua parlata molto piú che non si doveva, o in quelle cose e in quelle guise che non si doveva; non volendo esser plebei, furono qua e là mostri di locuzione; non sapendo esprimersi inventarono parole e forme tutte loro, tutte barbare; introdussero nelle scritture molti vocaboli e modi latini o provenzali durissimi e