<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/3138&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20161204091811</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/3138&oldid=-20161204091811
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 3138 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 204modifica] dagli epici posteriori ad Omero non fu [p. 205modifica]voluto abbracciare, ma fu sopra tutte l’altre cose fuggito, come quello che dirittamente avrebbe esclusa quella unità d’interesse, di scopo e d’Eroe, che quei poeti e i Dottori de’ loro tempi e de’ nostri davano per primaria e supremamente indispensabile qualità del poema epico: la unità, dico, non quale è quella della Iliade, dalla quale pur furono tratte le regole, le norme e il tipo dell’epopea, ma quale i posteriori ingegni metafisicamente sottilizzando e troppo artisticamente e strettamente considerando la concepirono, determinarono e prescrissero. Ond’é che quantunque in ciascuno de’ nominati poemi epici v’abbiano molte sventure cantate, ed avendovi una parte vittoriosa e felice, v’abbia altresí necessariamente una parte soccombente e sfortunata, si guardarono però bene tutti i detti poeti di farci piangere sopra questa sventura, come aveva fatto Omero; e di condurre il poema in modo che