Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4256

Da Wikisource.
Pagina 4256

../4255 ../4257 IncludiIntestazione 18 settembre 2019 100% Saggi

4255 4257

[p. 196 modifica] e vane del tutto le sue calamità, la infelicità sua certamente è reale. Anzi senza fallo, se ben sia meno sfortunato di Dante, egli è molto piú infelice (Recanati, 14 marzo 1827). (Si può applicare all’epopea drammatica ec.).


*   È molto notabile nella considerazione comparativa delle antiche e delle moderne nazioni civili, che quelle furono tutte quante di situazione meridionali. Dell’Italia non era ben civile che la parte meridionale. Del resto dell’Europa, la Grecia sola. Dell’Asia, solo il mezzodí, sí quello civilizzato dai greci, e sí l’India, la Persia ec. Dell’Affrica non parlo, la quale è meridionale tutta. Or questo doveva necessariamente produrre, e produsse, una grandissima differenza, sí nei costumi, nei modi del vivere, negli esercizi, nelle instituzioni pubbliche e private, sí nei caratteri dei popoli civili e della civiltà antica, dai costumi, dai caratteri, dalla civiltà moderna. Perchè, secondo quella verissima osservazione già fatta da altri, che la civiltà è andata sempre, e va tuttavia progredendo dal sud al nord, ritirandosi da quello; i popoli civili moderni sono tutti settentrionali, o piú settentrionali che gli antichi; o certo risedendo, come è manifesto, la maggior civiltà moderna nel settentrionale (ciò si vede anche in America), il resto dei popoli piú o manco civili pigliano dai settentrionali il carattere della lor [p. 197 modifica]civiltà. E insomma la civiltà antica fu una civiltà meridionale, la nostra è una civiltà settentrionale. Proposizione che siccome a prima vista si riconosce per verissima moralmente, cosí né piú né meno è vera letteralmente presa, e geograficamente. Differenza del resto grandissima e sostanzialissima, se non principale, e includente in se tutte le altre. L’antichità medesima e la maggior naturalezza degli antichi, è una specie di meridionalità nel tempo (14 marzo 1827, Recanati).


*    Alla p. 4253. Appunto, se noi diciamo un corpo che non sia né largo né lungo né profondo, noi non ci pensiamo punto di avere perciò una menoma idea, né chiara né oscura, di tal cosa. Cambiamo la parola; diciamo uno spirito; a noi par di avere un’idea. E pur che altro abbiamo che una parola?