Pensieri e giudizi/IV/XVIII

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XVIII. 1

La fede in molte cose ho dovuto buttar via, e non me ne sono pentito; ma se io dovessi perdere la fede nel buon senso e nella fibra del popolo italiano, amaramente me ne dorrei.

Possibile che un popolo come il nostro che ha avuto il fegato di fare non so quante rivoluzioni per cacciare i Tedeschi, e di spingere a Roma, con terribile insistenza, la Monarchia riluttante, guardi ora con olimpica indifferenza l’irruzione delle Arpie scovate dalla Francia, e sorrida scetticamente al pericolo nero che minaccia la più sacra delle umane libertà, lasciandosi cotidianamente provocare e disonorare dal clericalume ringalluzzito?

Io ho fede ancora che il nostro buon popolo si risentirà e che i suoi fremiti generosi faran tacere una buona volta i conciliatori ventriloqui degl’inconciliabili, a dispetto dei senili pargoleggiamenti di un misticismo rimpannucciato, a dispregio dei lenocinj di una letteratura corrompitrice di minorenni e a vituperio perpetuo di una politica vile.

A questo risentimento salutare han principalmente da concorrere i giovani colti e spregiudicati, illuminando la coscienza dei lavoratori con la luce della ragione, con l’autorità della storia, con l’eloquenza dei nobili esempi; facendo intendere alla moltitudine ignara che il cattolicismo è [p. 95 modifica]la cancrena degli stati, e finchè esso corromperà le menti e i cuori, nessuna riforma civile potrà attecchire, ogni speranza di libertà sarà una illusione, ogni promessa di governanti un inganno.

Note

  1. Ai giovani dell’Università di Roma.