Piccola morale/Parte prima/I. Le opinioni

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Parte prima - I. Le opinioni.

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Parte prima Parte prima - II. La certezza
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I.

LE OPINIONI.


Quando da taluno si è detto sopra tale, o tal altro argomento: questa è la mia opinione, pare sia detto alcun che di sensato a un tempo e modesto. Eppure chi voglia considerare la frase con qualche attenzione dovrà confessare nulla avervi di più dissennato, e ad un’ora di più arrogante. Per condurre quest’esame con riposato discorso è bisogno non lasciarvi punto atterrire da quei motti volgari: tante sono le opinioni quanti sono i cervelli; — è conceduto a ciascuno avere le proprie opinioni; — bello è il mondo perchè composto di varie opinioni. Opinione e parere in questi casi significano la stessa cosa. Io sono quanto altri mai veneratore caldissimo delle sentenze racchiuse ne’ popolari proverbii, sempre più [p. 2 modifica]rispettabili come più antichi, e credo che ove si trovino alcuna volta o inesatti o falsi, la falsità e inesattezza non tanto sia loro propria, quanto del tempo che ne ha alterato la significazione, o dell’arbitrio di una troppa estesa applicazione. Parlando delle opinioni il fatto è appunto di quest’ultima guisa, come vedremo.

I proverbii: tante opinioni quanti cervelli; — bello il mondo perchè infinitamente variato nelle opinioni, son giusti per quello che suonano; ma potrebbero diventare assurdi, chi gli riferisse senza accorgimento a tutti o a troppi i soggetti. Ci hanno degli argomenti intorno a’ quali è conceduto di portare una o altra opinione, ce ne hanno di quelli intorno a’ quali è follia averne altro che una, o, a meglio dire, intorno a’ quali non c’è luogo a opinione veruna. Che altro è opinione, o parere che si voglia chiamare, se non tal modo di vedere un oggetto, quando più siano i modi secondo i quali può essere veduto? Sicchè ove non ci ha questa molliplicilà di apparenze ivi non può essere moltiplicità di giudizii, e in generale ove trattasi di veder chiaramente ivi non e luogo a parere, nè la nobiltà della nostra anima se ne dee contentare. Chi dicesse: quanto a me sono d’avviso ch’ei ci abbia una città presso il Bosforo così detta Costantinopoli; che ne pensereste di quest’uomo ne’ suoi avvisi così singolare? O di quesl’altro: quanto a me son d’opinione quando mi accada ammalarmi, che sia da ricorrere al [p. 3 modifica]medico per averne consiglio? Davvero che assai di sovente mi è tocco di udire pronunziate queste medesime frasi sopra argomenti non punto dissomiglianti da quelli fino a qui riferiti.

Se la fortuna (che ha voluto fare di me uno scombircheratore di articoli, quando pure mi abbia fatto da tanto) mi avesse assegnato il possedimento di un campo fecondo di messe migliore che non sono le grame parole, sarebbemi piaciuto proporre uà premio non piccolo alla soluzione del problema seguente: prescrivere, per quanto è possibile all’umano discorso, i confini oltre a’ quali è colpa, o stoltezza, o viltà il contentarsi della propria opinione. E dico anche viltà, perchè molli per sola viltà si rimangono dal porsi su quel cammino che senza più gli condurrebbe alla scoperta del vero. Fra tante operette d’inutile o sofistica metaHsica che vanno attorno, non sarebbe desiderabile la pubblicazione di un’operetta siffatta? O non avrebbe forse lettori come soverchia? E a me sembra che potrebbe servire niente meno che di principale e solido fondamento a tutta la morale in anima e in corpo: tanto sarebbe il dire: intorno a questo o quell’altro principio non può avervi opinione, quanto dire: questo o quest’altro principio è fondato sopra le regole eterne della verità e della giustizia, e da esse può dedursi per via di seguila induzione, piana ed aperta a tutte le intelligenze.

Non vorrei per questo mi si credesse [p. 4 modifica]partigiano dell’intolleranza, e accanito contro alla libertà delle opinioni. La giustizia umana, sempre limitata e fallibile nelle sue conclusioni, deve rimanersi contenta di combattere le opinioni allora soltanto che giungono all’atto; finchè non sono più che pensiero altro è il giudice cui si compete farne sentenza. Chi ha organalo secondo regole d’inaccessibile antiveggenza la macchina umana, quando avesse voluto altrimenti, avrebbe lasciata possibile quella finestretta, tante volte e in tante guise descritta, per cui fosse dato di leggere nel cuore de’ nostri fratelli ciò che vi ha di più occulto. Ma dove il braccio della giustizia non giugne deve pur farsi udire la voce della coscienza, chi voglia meritare veramente il sacro titolo di galantuomo. Misero chi a credersi tale gli basta non aver mai provato la stretta delle manette! Pensare che possano avervi opinioni sopra certi principii egli è lo stesso che togliere a quei principii il loro pregio di assoluta ed immutabile verità; egli è lo stesso che addormentare la propria anima in una codarda indifferenza per ciò che vi ha di più nobile e di più santo; egli è lo stesso che riputarsi dissacrati dall’obbligo di professare que’ principii con generoso coraggio, e di spendere, ove occorra, per essi le forze del proprio ingegno e la propria vita. Lasciamo gli esempi più solenni che potrebbero addursi, i quali varrebbero forse ad imprimere a questo scritto un carattere troppo severo e poco meno che da [p. 5 modifica]predicante; tocchiamo cose lutto affattoo domestiche, e ricorrenti pressochè ad ogni passo.

Dire, per esempio, di un tale: posso ingannarmi, ma ne ho opinione come d’un tristo, è frase trita e ripetuta a ogni poco. Chi la pronunzia, in forza di quell’eccettuazione posso ingannarmi, crede aver posta al sicuro la propria coscienza; e sì pure dicendo: ne ho opinione, anzichè dire egli è tale, presume che l’umana moderazione e carità non possano andare più oltre. Primieramente: che è questo reputare ribaldo il vostro fratello, quando non ne abbiale le prove più palpabili e più lampanti? E quando pure potesse esserci conceduto nella perplessità del giudizio gettarci senza più alla condanna, crediamo che tutti quelli ai quali vengono proferite simili frasi abbiano fallo quel tanto d’indagini che si domanda a renderle almeno tollerabili? Passiamo ad altro, per togliere se ci vicn fallo la stucchevole monotonia al nostro dire. Molti vi sono a’ quali, per parlare di cose che punto non conoscono, basta poter premettere: questa è la mia opinione. Ma per avere una anzichè altra opinione, anche sopra materia ove l’averne sia senza offesa alla convenienza, credete non occorrano cognizioni? Se il cieco dicesse: io ho opinione che tal quadro privilegii per bellezza di colorilo sopra lai altro, non sarebbe ragionevole rispondergli: che opinione potete aver voi di tali cose? Statevene a della degli altri, tanto e non più vi è concesso. Oh sono pur troppi [p. 6 modifica]que’ ciechi che accampano opinioni loro proprie sopra i colori! Sicchè egli pare da tutto questo, che oltre all’avervi alcuni argomenti che escludano le opinioni, v’abbiano persone escluse dal portare opinione veruna sopra alcuni argomenti.

A conoscere però quanta falsità e contraddizione vi sia nel discorso di cotestoro, che si credono a sufficienza protetti dal baluardo delle predilette loro frasi: questa è la mia opinione, sono di questo pavere, mi sembra che basti considerare come siano essi franchi e spediti a vociferare tutto quello che hanno nell’anima senza esserne interrogati. Ma, domando io, dacchè la vostra è opinione e non altro, perchè vi sbracciate a metterla fuori?. Non vi accorgete che con questa faccenda che vi date contraddite alle vostre modeste parole, e mostrate apertamente che mentre dite non altro aver in mente che un’opinione vi è avviso poi che la sia nel fatto una massima necessaria ad essere saputa ed abbracciata da tutti? Oh! ciò fanno solamente perchè loro si contraddica, e si persuadano del contrario. Provatevi a discorrere con questi tali, che non hanno sopra ogni cosa salvo che semplici opinioni e pareri! Non si difende con più ferocia e con più accanimento un assioma, di quello essi ne mostrino a provar vere ed irrepugnabili le modeste loro opinioni, i loro umili pareri.

Conchiudasi: anche questa la è una delle tante amabili ipocrisie disseminate pel mondo, per [p. 7 modifica]la quale altro è quello che si dice, altro quello che s’intende. Chi si vergogna di contraddire a principii incommutabili e solennemente promulgali ha ricorso alla frase: per me la penso al tal modo, ci ho qtiesla opinione. Dove sarebbero costretti, adoperando la piena loro vista, di veder cose che loro spiacessero, si contentano di confessarsi infermi degli occhi, e pe’ quali gli oggetti, anzichè essere, non altro possano che parere. Con questa loro pecorina modestia, a non dire volpigna, si fanno avanti intridendo di bava tutti que’ luoghi per dove passano, e tutte quelle persone alle quali si accostano. Hanno ricorso alla medesima antifona certi balordi arroganti, che credono di far apparire tentacoli di antiveggenza i lunghi orecchioni della ignoranza. Se non che chi non ha conosciuto il somaro alle orecchie, il conosce ai calci che tira, e all’ostinazione onde vuole restarne ad ogni costo ove s’è da prima piantato. E si gli uni che gli altri, e tutta la intìnita moltitudine di quelli pe’ quali tanto vale il bianco che il nero, ne vanno assolti, o che sperano, a cagione di non aver altro che opinioni e pareri, del dovere che corre ad ogni uomo di amare il vero appassionatamente e di promoverlo con efficacia. E se il mondo fosse tutto composto di questi cotali, sarebbe non più che cadavere abitato da vermi, cui solo ufficio si è il rodere e lo strisciare.